Una sfida cognitiva, un onirico svago, una fiabesca indagine autoreferenziale: l'opera di Calvino solleva da sempre problemi di definizione e controversie epistemologiche, colpevoli di generare equivoci involontari o acrimoniosi travisamenti. Il saggio di Nicola Turi si propone di ricondurla entro la temperie estetica che ha animato il dibattito critico europeo del Novecento, evidenziandone le sotterranee implicazioni, la sofferta frattura esistenziale da cui trae alimento. Soprattutto a partire da Le Cosmicomiche (1964), la pagina di Calvino indaga il complesso rapporto che lega identità e tempo, realtà e riduzione del reale, verità e soggettività, discontinuità ontologica e nemesi della scelta. Per far questo si carica del dialogo sempre più fitto tra testo e metatesto, cui si accompagnano espliciti attentati alla credibilità del patto narrativo, la progressiva ascesa scenica dell'io narrante, accattivanti mises en abyme. Ma il dramma congenito della forma, confinata nei limiti temporali della sua imperfezione, non pretende mai di essere definitivamente risolto. Semplicemente vuole dare voce a un'istanza conoscitiva che, sempre insoddisfatta, tenta di «uscire dal silenzio, di significare attraverso il linguaggio, come battendo colpi su un muro di prigione».

L'identità negata. Il secondo Calvino e l'utopia del tempo fermo

TURI, Nicola
2003-01-01

Abstract

Una sfida cognitiva, un onirico svago, una fiabesca indagine autoreferenziale: l'opera di Calvino solleva da sempre problemi di definizione e controversie epistemologiche, colpevoli di generare equivoci involontari o acrimoniosi travisamenti. Il saggio di Nicola Turi si propone di ricondurla entro la temperie estetica che ha animato il dibattito critico europeo del Novecento, evidenziandone le sotterranee implicazioni, la sofferta frattura esistenziale da cui trae alimento. Soprattutto a partire da Le Cosmicomiche (1964), la pagina di Calvino indaga il complesso rapporto che lega identità e tempo, realtà e riduzione del reale, verità e soggettività, discontinuità ontologica e nemesi della scelta. Per far questo si carica del dialogo sempre più fitto tra testo e metatesto, cui si accompagnano espliciti attentati alla credibilità del patto narrativo, la progressiva ascesa scenica dell'io narrante, accattivanti mises en abyme. Ma il dramma congenito della forma, confinata nei limiti temporali della sua imperfezione, non pretende mai di essere definitivamente risolto. Semplicemente vuole dare voce a un'istanza conoscitiva che, sempre insoddisfatta, tenta di «uscire dal silenzio, di significare attraverso il linguaggio, come battendo colpi su un muro di prigione».
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