Stefano Pira “L’isola sconosciuta: il difficile incontro con la Sardegna dei viceré sabaudi dal barone di Saint Remy a Carlo Felice” in “Governare un regno. Viceré apparati burocratici e società nella Sardegna del Settecento” a cura di Pierpaolo Merlin, Roma 2005, Carocci, ISBN 88-430-3448-0 ABSTRACT A partire dal 1720 l’impatto della classe dirigente piemontese con la realtà della Sardegna risulterà traumatico, saranno i viceré sabaudi nell’isola a cogliere per primi la difficoltà di governare una realtà per loro sconosciuta. Il saggio è il frutto dell’esplorazione di un’ampia bibliografia sull’argomento assieme ad uno spoglio di inediti fondi archivistici sardi e torinesi. La distanza della realtà sarda rispetto a quella del Piemonte viene rilevata con attenzione da parte dei primi viceré e funzionari inviati in Sardegna che avvertono ministri e sovrano, residenti a Torino, dell’arretratezza dell’isola di alcune centinaia di anni rispetto alla terraferma. Fino al governo del ministro Bogino (1759-1773) i viceré non possono attuare nessuna riforma né prendere decisioni, per evitare motivi di frizione, che possano in qualche modo mutare i rapporti con la classe dirigente locale, egemonizzata dai feudatari sardo-spagnoli. L’autonomia sancita dalle antiche leggi del regno di Sardegna è il limite che i viceré non devono oltrepassare. Saranno le riforme boginiane a offrire un’occasione di maturazione per la classe dirigente sarda che, frequentando le due università riformate di Cagliari e Sassari, acquisteranno una nuova consapevolezza in grado di rielaborare il concetto di autonomia spingendolo fino alla cacciata dei piemontesi il 28 aprile del 1794, pur senza rinnegare l’appartenenza dell’isola al monarca sabaudo. L’esilio dei Savoia a Cagliari (1799-1815) rappresenterà invece, nel primo quindicennio dell’Ottocento, il contatto diretto della famiglia reale e dei vertici della classe dirigente sabauda con la realtà sarda. La distanza maggiore tra la classe dirigente sabauda e i sardi è rappresentata dai giudizi sprezzanti che De Maistre, già reggente la segreteria di stato in Sardegna, la seconda carica del regno, esprime dopo il suo allontanamento da Cagliari per ricoprire la carica di ambasciatore sardo presso lo zar nel periodo napoleonico. De Maistre, tra i più lucidi intellettuali europei, esprime visceralmente il proprio pessimismo nei confronti dei sardi, ritenendo che la loro cultura e legislazione rimangano un ostacolo insormontabile che impedisce il riavvicinamento della Sardegna alla civiltà europea più evoluta. Il realismo politico di Carlo Felice, viceré in Sardegna e futuro sovrano, si dimostrerà più costruttivo per l’isola riuscendo, in collaborazione con gli esponenti della classe dirigente sarda, a varare profonde riforme che cambieranno per sempre il volto della Sardegna abolendo il feudalesimo, ridimensionando l’antica autonomia del regno e facendo entrare i sardi, in maniera accelerata, nei ritmi di un’Europa che si avviava impetuosamente nell’età della borghesia.

L’isola sconosciuta: il difficile incontro con la Sardegna dei viceré sabaudi dal barone di Saint Remy a Carlo Felice

PIRA, STEFANO
2006-01-01

Abstract

Stefano Pira “L’isola sconosciuta: il difficile incontro con la Sardegna dei viceré sabaudi dal barone di Saint Remy a Carlo Felice” in “Governare un regno. Viceré apparati burocratici e società nella Sardegna del Settecento” a cura di Pierpaolo Merlin, Roma 2005, Carocci, ISBN 88-430-3448-0 ABSTRACT A partire dal 1720 l’impatto della classe dirigente piemontese con la realtà della Sardegna risulterà traumatico, saranno i viceré sabaudi nell’isola a cogliere per primi la difficoltà di governare una realtà per loro sconosciuta. Il saggio è il frutto dell’esplorazione di un’ampia bibliografia sull’argomento assieme ad uno spoglio di inediti fondi archivistici sardi e torinesi. La distanza della realtà sarda rispetto a quella del Piemonte viene rilevata con attenzione da parte dei primi viceré e funzionari inviati in Sardegna che avvertono ministri e sovrano, residenti a Torino, dell’arretratezza dell’isola di alcune centinaia di anni rispetto alla terraferma. Fino al governo del ministro Bogino (1759-1773) i viceré non possono attuare nessuna riforma né prendere decisioni, per evitare motivi di frizione, che possano in qualche modo mutare i rapporti con la classe dirigente locale, egemonizzata dai feudatari sardo-spagnoli. L’autonomia sancita dalle antiche leggi del regno di Sardegna è il limite che i viceré non devono oltrepassare. Saranno le riforme boginiane a offrire un’occasione di maturazione per la classe dirigente sarda che, frequentando le due università riformate di Cagliari e Sassari, acquisteranno una nuova consapevolezza in grado di rielaborare il concetto di autonomia spingendolo fino alla cacciata dei piemontesi il 28 aprile del 1794, pur senza rinnegare l’appartenenza dell’isola al monarca sabaudo. L’esilio dei Savoia a Cagliari (1799-1815) rappresenterà invece, nel primo quindicennio dell’Ottocento, il contatto diretto della famiglia reale e dei vertici della classe dirigente sabauda con la realtà sarda. La distanza maggiore tra la classe dirigente sabauda e i sardi è rappresentata dai giudizi sprezzanti che De Maistre, già reggente la segreteria di stato in Sardegna, la seconda carica del regno, esprime dopo il suo allontanamento da Cagliari per ricoprire la carica di ambasciatore sardo presso lo zar nel periodo napoleonico. De Maistre, tra i più lucidi intellettuali europei, esprime visceralmente il proprio pessimismo nei confronti dei sardi, ritenendo che la loro cultura e legislazione rimangano un ostacolo insormontabile che impedisce il riavvicinamento della Sardegna alla civiltà europea più evoluta. Il realismo politico di Carlo Felice, viceré in Sardegna e futuro sovrano, si dimostrerà più costruttivo per l’isola riuscendo, in collaborazione con gli esponenti della classe dirigente sarda, a varare profonde riforme che cambieranno per sempre il volto della Sardegna abolendo il feudalesimo, ridimensionando l’antica autonomia del regno e facendo entrare i sardi, in maniera accelerata, nei ritmi di un’Europa che si avviava impetuosamente nell’età della borghesia.
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