In questo scritto ci si è proposti di analizzare i caratteri del sistema dei partiti – nei tre elementi della forma partito, del formato e della meccanica – nella loro evoluzione in seguito all'entrata in vigore delle discipline elettorali a effetto maggioritario di cui alle leggi n. 276 e 277 del 1993 e alla legge 270 del 2005. Con riferimento alla forma partito, si è riscontrata l’ascesa del cartel party, una forma partito caratterizzata dalla progressiva emancipazione dei partiti da basi sociali definite. L'avvento di tale forma partito ha causato una sorta di compenetrazione dei partiti con le istituzioni, delle quali questi si propongono come “agenti” elettorali, aventi il compito di far “funzionare” la democrazia attraverso la proposta di un’offerta politica. Il cartel party non attinge principalmente dalle risorse economiche e umane della base degli iscritti e dei militanti, ma fa ricorso soprattutto alle sovvenzioni pubbliche; a causa della progressiva, reciproca emancipazione dei partiti dai cittadini, il cartel party conta su un personale politico professionale e svolge campagne professionali, centralizzate, a uso intensivo di capitale; in virtù della comune attività professionale, i dirigenti di partito e gli eletti, pur presentandosi nell’arena politica come avversari sono, nella realtà dei fatti, colleghi che condividono i comuni interessi alla sopravvivenza del partito e a una lunga carriera politica. In tal contesto, le elezioni sono più uno strumento di controllo dei governanti sui governati che viceversa, grazie all’accesso a mezzi – in primis la televisione – che consentono agli operatori un efficace spin sugli orientamenti degli eletti. Si è quindi proceduto ad una analisi della dimensione organizzativa del partito, da cui è emerso un tendenziale declino del party on the ground e del party in central office, cui è corrisposta una significativa espansione del party in public office. Si è parimenti riscontrata, a partire dai primi anni Novanta, un processo di istituzionalizzazione delle coalizioni elettorali: le coalizioni elettorali non costituiscono solo un accordo di Governo tra partiti “sovrani”, ma sono contraddistinte da un grado di istituzionalizzazione e di coesione tale da poter essere considerate come “metapartiti” o “ultrapartiti”. Si è quindi ricostruito il percorso di istituzionalizzazione delle coalizioni “di prima generazione” (formatesi, cioè, in vigenza delle discipline elettorali del 1993), e quelle “di seconda generazione” (formatesi dopo l’entrata in vigore delle discipline elettorali del 2005). Con riferimento alla coalizione di centro-sinistra si è assistito all’ascesa dell’idea di coalizione come istituzione, da rafforzare attraverso la formalizzazione di strutture e regole per la selezione del leader, dei candidati e la determinazione delle policies. Concorrono a spiegare il favor per la “personificazione” il miglior rendimento delle coalizioni di centro-sinistra nei collegi uninominali piuttosto che nell’arena proporzionale; il conseguente interesse di candidati ed eletti di centro-sinistra nei collegi uninominali al rafforzamento dell’identità di coalizione; la tradizione di collaborazione politica e parlamentare tra i grandi partiti di massa, di cui i partiti della coalizione sono eredi; l’impulso proveniente da alcune personalità emergenti delle amministrazioni locali e regionali, dei sindacati, delle associazioni, dei movimenti, della “società civile”, per le quali i processi unitari potevano essere un’opportunità per disarticolare la centralità dei gruppi dirigenti di partito consolidati; la presenza di candidati alla Presidenza del Consiglio che hanno promosso la “personificazione” al fine di rafforzare la propria leadership e indebolire quella dei segretari di partito. Tale processo ha incontrato un limite nell’opposto interesse di parte dei gruppi dirigenti dei due maggiori partiti della coalizione – i DS e il PPI nella XIII legislatura, i DS e la Margherita nella XIV legislatura – a una stabilizzazione contrattuale della coalizione attraverso regole che non comportassero la dissoluzione dell’autonomia partitica. Di contro, il processo di istituzionalizzazione della coalizione di centro-destra non sembra mai esser stata concepita come strumentale all’incorporamento: la sua matrice è stata quindi di tipo contrattuale. Anche la coalizione di centro-destra ha osservato un’articolata rete di regole informali e formali volte a contemperare, nel processi politici, pluralismo partitico, unità di coalizione e rapporti tra questi soggetti e le istituzioni; fino alla XV legislatura non vi è stata, tuttavia, da parte di alcun partito della coalizione, una spinta alla “solidificazione” dell’alleanza. In primo luogo, infatti, i partiti coalizzati apparivano troppo distanti sul piano ideologico e storico; inoltre, la coalizione come soggetto unitario rivelava, a differenza di quanto accaduto nella coalizione di centro-sinistra, un peggior rendimento nei collegi uninominali rispetto alla somma dei voti ottenuti dai partiti della coalizione nell’arena proporzionale; infine, l’istanza unitaria era assicurata dal leader Berlusconi, che in virtù del suo peso elettorale e dei suoi influenti mezzi economici e di comunicazione ne costituiva il criterio ordinatore, sia pure in rapporto dialettico con i gruppi dirigenti dei partiti dell’alleanza. Solo sul finire della XIV legislatura, constatato il declino elettorale della coalizione e avvertita l’esigenza di superare le divisioni interne mediante una più solida struttura, Berlusconi propose la fondazione di un partito unico, senza tuttavia riuscire a promuovere tale processo a causa della contrarietà degli alleati. Nella XV legislatura si è assistito all’avvento di coalizione elettorali “di seconda generazione”. L’adozione del voto di lista alle elezioni politiche ha incoraggiato la formazione di “coalizioni larghe” e polarizzate, nonché il free riding partitico, fenomeni solo parzialmente corretti dall’introduzione dei premi di maggioranza. In ultima analisi, quindi, la disciplina elettorale del 2005 unisce un incentivo alla formazione delle coalizioni elettorali (i premi di maggioranza) e un disincentivo al rafforzamento istituzionale (il voto di lista). Questo fatto ha determinato un sensibile aumento, nella XV legislatura, dei partiti rilevanti (ossia dotati, secondo la nota classificazione di Sartori, di potenziale di coalizione o di potenziale di ricatto). Poiché anche la meccanica del sistema dei partiti è influenzata dal numero di partiti rilevanti - al bipartitismo rigido e al multipartitismo temperato si accompagna, di regola, una meccanica moderata e centripeta, mentre al multipartitismo estremo si accompagna, di regola, una meccanica polarizzata e centrifuga – l’eccessivo numero di partiti rilevanti e la de-istituzionalizzazione delle coalizioni nella XV legislatura si è tradotta in una meccanica ibrida e non pienamente definita, in un aumento della polarizzazione del sistema partitico e delle sue tendenze centrifughe. Una parziale inversione di tendenza si è registrata nella XVI legislatura, allorché si è avuta una iniziale riduzione a 5 del numero di partiti rilevanti: soglia, questa, indicata da Sartori come il numero oltre il quale si passa dal multipartitismo temperato al multipartitismo estremo. La tendenza bipolare e centripeta innestata dalla semplificazione del sistema partitica è apparsa tuttavia, sin dall’inizio, solo apparente. In particolare, si è posto in evidenza che se di regola alla riduzione del numero dei partiti si accompagna la rinuncia alle “politiche di scavalcamento”, nel caso italiano tale esito era incerto, data la scarsa propensione alla moderazione di alcuni partiti rilevanti. Inoltre, i due maggiori partiti – Popolo delle libertà e partito democratico – erano il prodotto di fusioni “a freddo” tra gruppi dirigenti, e la coesione di tali partiti era quindi tutta da verificare. In ultima analisi, quindi, l’evoluzione dal multipartitismo estremo al multipartitismo temperato non è incentivata dalle discipline elettorali del 2005 e, quindi, è prevedibile la persistenza degli elementi di instabilità della forma di governo, il cui miglioramento richiederebbe – in primis – la rivisitazione delle regole elettorali.

La forma di governo all’alba del XXI secolo: dalle coalizioni ai partiti?

CHERCHI, ROBERTO MARIA
2009-01-01

Abstract

In questo scritto ci si è proposti di analizzare i caratteri del sistema dei partiti – nei tre elementi della forma partito, del formato e della meccanica – nella loro evoluzione in seguito all'entrata in vigore delle discipline elettorali a effetto maggioritario di cui alle leggi n. 276 e 277 del 1993 e alla legge 270 del 2005. Con riferimento alla forma partito, si è riscontrata l’ascesa del cartel party, una forma partito caratterizzata dalla progressiva emancipazione dei partiti da basi sociali definite. L'avvento di tale forma partito ha causato una sorta di compenetrazione dei partiti con le istituzioni, delle quali questi si propongono come “agenti” elettorali, aventi il compito di far “funzionare” la democrazia attraverso la proposta di un’offerta politica. Il cartel party non attinge principalmente dalle risorse economiche e umane della base degli iscritti e dei militanti, ma fa ricorso soprattutto alle sovvenzioni pubbliche; a causa della progressiva, reciproca emancipazione dei partiti dai cittadini, il cartel party conta su un personale politico professionale e svolge campagne professionali, centralizzate, a uso intensivo di capitale; in virtù della comune attività professionale, i dirigenti di partito e gli eletti, pur presentandosi nell’arena politica come avversari sono, nella realtà dei fatti, colleghi che condividono i comuni interessi alla sopravvivenza del partito e a una lunga carriera politica. In tal contesto, le elezioni sono più uno strumento di controllo dei governanti sui governati che viceversa, grazie all’accesso a mezzi – in primis la televisione – che consentono agli operatori un efficace spin sugli orientamenti degli eletti. Si è quindi proceduto ad una analisi della dimensione organizzativa del partito, da cui è emerso un tendenziale declino del party on the ground e del party in central office, cui è corrisposta una significativa espansione del party in public office. Si è parimenti riscontrata, a partire dai primi anni Novanta, un processo di istituzionalizzazione delle coalizioni elettorali: le coalizioni elettorali non costituiscono solo un accordo di Governo tra partiti “sovrani”, ma sono contraddistinte da un grado di istituzionalizzazione e di coesione tale da poter essere considerate come “metapartiti” o “ultrapartiti”. Si è quindi ricostruito il percorso di istituzionalizzazione delle coalizioni “di prima generazione” (formatesi, cioè, in vigenza delle discipline elettorali del 1993), e quelle “di seconda generazione” (formatesi dopo l’entrata in vigore delle discipline elettorali del 2005). Con riferimento alla coalizione di centro-sinistra si è assistito all’ascesa dell’idea di coalizione come istituzione, da rafforzare attraverso la formalizzazione di strutture e regole per la selezione del leader, dei candidati e la determinazione delle policies. Concorrono a spiegare il favor per la “personificazione” il miglior rendimento delle coalizioni di centro-sinistra nei collegi uninominali piuttosto che nell’arena proporzionale; il conseguente interesse di candidati ed eletti di centro-sinistra nei collegi uninominali al rafforzamento dell’identità di coalizione; la tradizione di collaborazione politica e parlamentare tra i grandi partiti di massa, di cui i partiti della coalizione sono eredi; l’impulso proveniente da alcune personalità emergenti delle amministrazioni locali e regionali, dei sindacati, delle associazioni, dei movimenti, della “società civile”, per le quali i processi unitari potevano essere un’opportunità per disarticolare la centralità dei gruppi dirigenti di partito consolidati; la presenza di candidati alla Presidenza del Consiglio che hanno promosso la “personificazione” al fine di rafforzare la propria leadership e indebolire quella dei segretari di partito. Tale processo ha incontrato un limite nell’opposto interesse di parte dei gruppi dirigenti dei due maggiori partiti della coalizione – i DS e il PPI nella XIII legislatura, i DS e la Margherita nella XIV legislatura – a una stabilizzazione contrattuale della coalizione attraverso regole che non comportassero la dissoluzione dell’autonomia partitica. Di contro, il processo di istituzionalizzazione della coalizione di centro-destra non sembra mai esser stata concepita come strumentale all’incorporamento: la sua matrice è stata quindi di tipo contrattuale. Anche la coalizione di centro-destra ha osservato un’articolata rete di regole informali e formali volte a contemperare, nel processi politici, pluralismo partitico, unità di coalizione e rapporti tra questi soggetti e le istituzioni; fino alla XV legislatura non vi è stata, tuttavia, da parte di alcun partito della coalizione, una spinta alla “solidificazione” dell’alleanza. In primo luogo, infatti, i partiti coalizzati apparivano troppo distanti sul piano ideologico e storico; inoltre, la coalizione come soggetto unitario rivelava, a differenza di quanto accaduto nella coalizione di centro-sinistra, un peggior rendimento nei collegi uninominali rispetto alla somma dei voti ottenuti dai partiti della coalizione nell’arena proporzionale; infine, l’istanza unitaria era assicurata dal leader Berlusconi, che in virtù del suo peso elettorale e dei suoi influenti mezzi economici e di comunicazione ne costituiva il criterio ordinatore, sia pure in rapporto dialettico con i gruppi dirigenti dei partiti dell’alleanza. Solo sul finire della XIV legislatura, constatato il declino elettorale della coalizione e avvertita l’esigenza di superare le divisioni interne mediante una più solida struttura, Berlusconi propose la fondazione di un partito unico, senza tuttavia riuscire a promuovere tale processo a causa della contrarietà degli alleati. Nella XV legislatura si è assistito all’avvento di coalizione elettorali “di seconda generazione”. L’adozione del voto di lista alle elezioni politiche ha incoraggiato la formazione di “coalizioni larghe” e polarizzate, nonché il free riding partitico, fenomeni solo parzialmente corretti dall’introduzione dei premi di maggioranza. In ultima analisi, quindi, la disciplina elettorale del 2005 unisce un incentivo alla formazione delle coalizioni elettorali (i premi di maggioranza) e un disincentivo al rafforzamento istituzionale (il voto di lista). Questo fatto ha determinato un sensibile aumento, nella XV legislatura, dei partiti rilevanti (ossia dotati, secondo la nota classificazione di Sartori, di potenziale di coalizione o di potenziale di ricatto). Poiché anche la meccanica del sistema dei partiti è influenzata dal numero di partiti rilevanti - al bipartitismo rigido e al multipartitismo temperato si accompagna, di regola, una meccanica moderata e centripeta, mentre al multipartitismo estremo si accompagna, di regola, una meccanica polarizzata e centrifuga – l’eccessivo numero di partiti rilevanti e la de-istituzionalizzazione delle coalizioni nella XV legislatura si è tradotta in una meccanica ibrida e non pienamente definita, in un aumento della polarizzazione del sistema partitico e delle sue tendenze centrifughe. Una parziale inversione di tendenza si è registrata nella XVI legislatura, allorché si è avuta una iniziale riduzione a 5 del numero di partiti rilevanti: soglia, questa, indicata da Sartori come il numero oltre il quale si passa dal multipartitismo temperato al multipartitismo estremo. La tendenza bipolare e centripeta innestata dalla semplificazione del sistema partitica è apparsa tuttavia, sin dall’inizio, solo apparente. In particolare, si è posto in evidenza che se di regola alla riduzione del numero dei partiti si accompagna la rinuncia alle “politiche di scavalcamento”, nel caso italiano tale esito era incerto, data la scarsa propensione alla moderazione di alcuni partiti rilevanti. Inoltre, i due maggiori partiti – Popolo delle libertà e partito democratico – erano il prodotto di fusioni “a freddo” tra gruppi dirigenti, e la coesione di tali partiti era quindi tutta da verificare. In ultima analisi, quindi, l’evoluzione dal multipartitismo estremo al multipartitismo temperato non è incentivata dalle discipline elettorali del 2005 e, quindi, è prevedibile la persistenza degli elementi di instabilità della forma di governo, il cui miglioramento richiederebbe – in primis – la rivisitazione delle regole elettorali.
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