Il ricordo della Grande Guerra avrebbe giocato un ruolo cruciale nella memoria collettiva degli uomini durante l'intero periodo compreso tra le due guerre mondiali1. Questa memoria poteva condurre a seconda dei casi ad una vera e propria esaltazione del ricordo e dell'idea della guerra, oppure a sentimenti di distacco, indifferenza e rassegnazione, quando non addirittura di paura e di ripulsa. In ogni caso questa memoria condivisa poggiava spesso e volentieri sulla sensazione che la realtà della Grande Guerra non avesse mai avuto veramente termine. Naturalmente questa sensazione era maggiormente marcata nei paesi sconfitti o comunque profondamente segnati dall'esperienza bellica; nei quali il ritorno alla normalità sarebbe stato necessariamente più lento. La sensazione di vivere entro un conflitto permanente non era esclusiva e poteva essere condivisa sia dagli «amici» che dai «nemici», da coloro i quali rifiutavano la realtà della guerra come da coloro i quali abbracciavano il suo essere «divenuta mito». La continuità storica con il tempo di guerra era particolarmente importante per l'esperienza politica delle destre radicali presenti nei vari paesi europei; le uniche a proclamarsi eredi dell'esperienza della guerra. Prima che i franchisti trasformassero José Antonio Primo de Rivera – leader della destra estrema caduto morto in circostanze mai del tutto chiarite – nel primo e più venerato martire della nuova Spagna nazionale, i fascisti ed i nazionalsocialisti avevano già provveduto ad identificare i loro martiri con i caduti della prima guerra mondiale, utilizzando perfino lo stesso rituale e la stessa simbologia per onorarne la memoria: elmetti d'acciaio, sacre fiaccole e monumenti che facevano dei morti nazisti veri e propri cloni dei soldati che in passato avevano combattuto ed erano morti per la patria. Nella chiesa locale di ogni villaggio o città della Spagna nazionale ove si verificarono fatti di sangue, venne posta una targa commemorativa recante l'elenco dei caduti per mano dei «rossi» seguita dall'iscrizione «morti per Dio e per la Spagna». L'avvento dei totalitarismi implicò ovunque il tentativo di arruolare l'esempio del cameratismo del tempo di guerra per definire la natura delle relazioni sociali entro la nuova comunità nazionale. La società non tardò ad essere irregimentata. Il partito unico di governo poteva essere inteso ovunque come una organizzazione paramilitare fortemente gerarchizzata; questo partito rappresentava solitamente il nesso politico e sociale tra il regime ed il resto della popolazione. Esso poteva essere frutto di un processo lineare di conquista del potere come accadde in Germania, espressione di un movimento appiattito sulla figura carismatica del proprio Duce come nel caso italiano, uno strumento di potere completamente artefatto com'era di fatto in Spagna. Il partito unico riuscì ad immaginare una società calata fedelmente entro l'ideale del cameratismo ereditato dalla guerra. Le associazioni giovanili, quelle ricreative, il corporativismo sindacale tutto ricalcava l'ideale del cameratismo cui la società intera si doveva uniformare. I termini come «camerata» divennero di uso comune in Italia e Germania, come il lessico militare trasposto nella quotidianità della vita sociale. La continuità politica e sociale tra le due guerre – rivendicata costantemente dai fascismi per i loro fini politici – sarebbe stata dovuta in gran parte proprio al potere immaginifico del linguaggio, del quale si servì magistralmente la maggior parte dei dittatori del tempo per stregare quelle stesse masse che un sanguinoso conflitto mondiale aveva destato dal proprio torpore.

L'Età inquieta. Il mito, il sangue ed il ferro (1789-1939)

MONTIS, MAURO
2011-01-01

Abstract

Il ricordo della Grande Guerra avrebbe giocato un ruolo cruciale nella memoria collettiva degli uomini durante l'intero periodo compreso tra le due guerre mondiali1. Questa memoria poteva condurre a seconda dei casi ad una vera e propria esaltazione del ricordo e dell'idea della guerra, oppure a sentimenti di distacco, indifferenza e rassegnazione, quando non addirittura di paura e di ripulsa. In ogni caso questa memoria condivisa poggiava spesso e volentieri sulla sensazione che la realtà della Grande Guerra non avesse mai avuto veramente termine. Naturalmente questa sensazione era maggiormente marcata nei paesi sconfitti o comunque profondamente segnati dall'esperienza bellica; nei quali il ritorno alla normalità sarebbe stato necessariamente più lento. La sensazione di vivere entro un conflitto permanente non era esclusiva e poteva essere condivisa sia dagli «amici» che dai «nemici», da coloro i quali rifiutavano la realtà della guerra come da coloro i quali abbracciavano il suo essere «divenuta mito». La continuità storica con il tempo di guerra era particolarmente importante per l'esperienza politica delle destre radicali presenti nei vari paesi europei; le uniche a proclamarsi eredi dell'esperienza della guerra. Prima che i franchisti trasformassero José Antonio Primo de Rivera – leader della destra estrema caduto morto in circostanze mai del tutto chiarite – nel primo e più venerato martire della nuova Spagna nazionale, i fascisti ed i nazionalsocialisti avevano già provveduto ad identificare i loro martiri con i caduti della prima guerra mondiale, utilizzando perfino lo stesso rituale e la stessa simbologia per onorarne la memoria: elmetti d'acciaio, sacre fiaccole e monumenti che facevano dei morti nazisti veri e propri cloni dei soldati che in passato avevano combattuto ed erano morti per la patria. Nella chiesa locale di ogni villaggio o città della Spagna nazionale ove si verificarono fatti di sangue, venne posta una targa commemorativa recante l'elenco dei caduti per mano dei «rossi» seguita dall'iscrizione «morti per Dio e per la Spagna». L'avvento dei totalitarismi implicò ovunque il tentativo di arruolare l'esempio del cameratismo del tempo di guerra per definire la natura delle relazioni sociali entro la nuova comunità nazionale. La società non tardò ad essere irregimentata. Il partito unico di governo poteva essere inteso ovunque come una organizzazione paramilitare fortemente gerarchizzata; questo partito rappresentava solitamente il nesso politico e sociale tra il regime ed il resto della popolazione. Esso poteva essere frutto di un processo lineare di conquista del potere come accadde in Germania, espressione di un movimento appiattito sulla figura carismatica del proprio Duce come nel caso italiano, uno strumento di potere completamente artefatto com'era di fatto in Spagna. Il partito unico riuscì ad immaginare una società calata fedelmente entro l'ideale del cameratismo ereditato dalla guerra. Le associazioni giovanili, quelle ricreative, il corporativismo sindacale tutto ricalcava l'ideale del cameratismo cui la società intera si doveva uniformare. I termini come «camerata» divennero di uso comune in Italia e Germania, come il lessico militare trasposto nella quotidianità della vita sociale. La continuità politica e sociale tra le due guerre – rivendicata costantemente dai fascismi per i loro fini politici – sarebbe stata dovuta in gran parte proprio al potere immaginifico del linguaggio, del quale si servì magistralmente la maggior parte dei dittatori del tempo per stregare quelle stesse masse che un sanguinoso conflitto mondiale aveva destato dal proprio torpore.
2011
978-88-8467-757-0
Violenza
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