La sindrome del burnout è particolarmente presente in ambito sanitario, ove favorisce, in linea con quanto già detto, una serie di fenomeni di affaticamento, logoramento e improduttività lavorativa. Il contesto ospedaliero, nello specifico, è un’organizzazione complessa, il cui funzionamento si basa sull’incontro di diverse professionalità e in cui la possibilità di scontri di ruolo, difficoltà organizzative, disfunzioni del gruppo di lavoro e problemi istituzionali permane piuttosto elevata, costituendo in tal senso un’ulteriore fonte di tensione e preoccupazione. Diversi studi hanno analizzato il tema del burnout in relazione alle differenze tra uomini e donne (Greenglass, 1991) evidenziando l’esistenza di tali differenze nel burnout e nei precursori del burnout. Questi studi presentano risultati contraddittori: mentre alcune ricerche trovano che le donne presentano livelli di burnout superiori rispetto agli uomini (per esempio, Etzion e Pines, 1981; 1986; Pines, Aronson e Kafry, 1981; Pines e Kafry, 1981; Maslach e Jackson, 1982; Greenglass e Burke, 1988; Bruning, 1991; Aryee, 1993; Leiter, Clark e Durup, 1994), in altri studi tali differenze non emergono, in altre ricerche ancora emerge che gli uomini sono maggiormente soggetti a burnout delle donne (per esempio, Maslach e Jackson, 1985; Greenglass, Burke e Ondrach, 1990). Questa contraddizione nei risultati può essere attribuita agli strumenti utilizzati nelle ricerche. La presente ricerca si propone di analizzare i livelli di burnout presenti in 245 operatori di uno dei principali presidi ospedalieri della Regione Sardegna, in una prospettiva di genere. Gli obiettivi della ricerca sono: 1) rilevare i livelli di burnout nei soggetti del campione e eventuali differenze in relazione alle variabili socio-anagrafiche; 2) analizzare quanto i soggetti appartenenti al campione si identificano in un profilo stereotipato rispetto al genere; 3) valutare l’esistenza di eventuali relazioni tra i livelli di burnout e i livelli di tipizzazione sessuale. I risultati mettono in evidenza come i soggetti intervistati presentano livelli di burnout considerati medi per la categoria sanità (Sirigatti e Stefanile, 1993). Per quanto riguarda la relazione tra le tre scale del burnout e le variabili socio-anagrafiche emergono delle differenze statisticamente significative. Così come riportato in letteratura (Greenglass, 1991) i risultati della ricerca evidenziano differenze tra la variabile sesso e i livelli di burnout, in particolare le donne intervistate presentano punteggi medi più elevati degli uomini nella dimensione “esaurimento emotivo”, come già evidenziato in ricerche precedenti (Maslach e Jackson, 1985). Anche il livello di scolarizzazione incide sulla manifestazione della sindrome. Dalla ricerca emerge che i soggetti con un basso livello di scolarizzazione ottengono punteggi medi più elevati nelle dimensioni “esaurimento emotivo” e “depersonalizzazione” e punteggi medi più bassi nella dimensione “realizzazione personale”. Possiamo ipotizzare che questi soggetti, che hanno conseguito un titolo di studio ”basso” (licenza elementare, licenza media o qualifica professionale), siano più a rischio di burnout rispetto a quelli che hanno conseguito la laurea o un titolo di specializzazione post-lauream. Emergono, inoltre, differenze in relazione al reparto di appartenenza: i soggetti che lavorano presso i reparti di medicina ottengono punteggi superiori in relazione alla dimensione “esaurimento emotivo”, mentre i soggetti che lavorano presso i reparti di chirurgia ottengono punteggi superiori in relazione alla dimensione “depersonalizzazione”. I contenuti del lavoro, che contribuiscono a strutturare la relazione con i clienti/utenti, sembrerebbero avere una qualche influenza sulle dimensioni che caratterizzano la sindrome. Inoltre, i soggetti che lavorano a stretto contatto con i pazienti (medici e infermieri), con un’anzianità di servizio elevata (superiore ai 15 anni) o bassa (inferiore ai 5 anni) ottengono medie superiori degli altri colleghi nella dimensione “realizzazione personale”. In relazione al secondo obiettivo emerge che, nonostante i soggetti del nostro campione si identifichino in tutti e quattro i profili di tipizzazione sessuale considerati, una percentuale elevata, sia di maschi sia di femmine, si riconosce in un profilo stereotipato rispetto al genere di appartenenza. Altresì, una percentuale non trascurabile di soggetti, più femmine che maschi, si identifica in un profilo nel quale sono altamente rappresentati sia tratti maschili sia tratti femminili (profilo androgino) e ancora, un altro gruppo di soggetti, in questo caso più maschi che femmine, si descrive in un profilo scarsamente tipizzato sia in senso maschile sia in senso femminile (profilo indifferenziato). Possiamo quindi affermare che nel nostro campione sono rappresentati sia soggetti che tendono a descriversi facendo riferimento ai modelli sui generi tradizionali e fortemente stereotipici, sia soggetti che non riconoscendosi nelle categorie classiche si descrivono in modo più progressista senza far coincidere le caratteristiche sessuali con quelle di genere, sia soggetti “confusi” che con difficoltà descrivono la loro identità di genere. I dati prodotti evidenziano relazioni significative tra i livelli di burnout e i livelli di tipizzazione sessuale. I soggetti che risultano scarsamente tipizzati sia in senso maschile sia in senso femminile sembrano più a rischio di burnout, in quanto ottengono i punteggi più elevati nella dimensione “depersonalizzazione” e i punteggi più bassi nella dimensione “realizzazione personale”. I soggetti che si identificano in un “profilo androgino”, invece, risultato meno a rischio in quanto hanno ottenuto i punteggi più bassi nella dimensione “depersonalizzazione” e i punteggi più alti nella dimensione “realizzazione personale”. I soggetti meno “sessualmente tipizzati”, che non si identificano in un profilo stereotipato rispetto al genere, ma si descrivono utilizzando sia tratti tipicamente femminili sia tratti tipicamente maschili, risultano meno a rischio di burnout degli altri colleghi probabilmente perché le caratteristiche del “profilo androgino” permettono agli individui di essere più flessibili e di adattarsi più facilmente alle diverse richieste del contesto.

Il burnout in una prospettiva di genere

DE SIMONE, SILVIA;MONDO, MARINA
2008-01-01

Abstract

La sindrome del burnout è particolarmente presente in ambito sanitario, ove favorisce, in linea con quanto già detto, una serie di fenomeni di affaticamento, logoramento e improduttività lavorativa. Il contesto ospedaliero, nello specifico, è un’organizzazione complessa, il cui funzionamento si basa sull’incontro di diverse professionalità e in cui la possibilità di scontri di ruolo, difficoltà organizzative, disfunzioni del gruppo di lavoro e problemi istituzionali permane piuttosto elevata, costituendo in tal senso un’ulteriore fonte di tensione e preoccupazione. Diversi studi hanno analizzato il tema del burnout in relazione alle differenze tra uomini e donne (Greenglass, 1991) evidenziando l’esistenza di tali differenze nel burnout e nei precursori del burnout. Questi studi presentano risultati contraddittori: mentre alcune ricerche trovano che le donne presentano livelli di burnout superiori rispetto agli uomini (per esempio, Etzion e Pines, 1981; 1986; Pines, Aronson e Kafry, 1981; Pines e Kafry, 1981; Maslach e Jackson, 1982; Greenglass e Burke, 1988; Bruning, 1991; Aryee, 1993; Leiter, Clark e Durup, 1994), in altri studi tali differenze non emergono, in altre ricerche ancora emerge che gli uomini sono maggiormente soggetti a burnout delle donne (per esempio, Maslach e Jackson, 1985; Greenglass, Burke e Ondrach, 1990). Questa contraddizione nei risultati può essere attribuita agli strumenti utilizzati nelle ricerche. La presente ricerca si propone di analizzare i livelli di burnout presenti in 245 operatori di uno dei principali presidi ospedalieri della Regione Sardegna, in una prospettiva di genere. Gli obiettivi della ricerca sono: 1) rilevare i livelli di burnout nei soggetti del campione e eventuali differenze in relazione alle variabili socio-anagrafiche; 2) analizzare quanto i soggetti appartenenti al campione si identificano in un profilo stereotipato rispetto al genere; 3) valutare l’esistenza di eventuali relazioni tra i livelli di burnout e i livelli di tipizzazione sessuale. I risultati mettono in evidenza come i soggetti intervistati presentano livelli di burnout considerati medi per la categoria sanità (Sirigatti e Stefanile, 1993). Per quanto riguarda la relazione tra le tre scale del burnout e le variabili socio-anagrafiche emergono delle differenze statisticamente significative. Così come riportato in letteratura (Greenglass, 1991) i risultati della ricerca evidenziano differenze tra la variabile sesso e i livelli di burnout, in particolare le donne intervistate presentano punteggi medi più elevati degli uomini nella dimensione “esaurimento emotivo”, come già evidenziato in ricerche precedenti (Maslach e Jackson, 1985). Anche il livello di scolarizzazione incide sulla manifestazione della sindrome. Dalla ricerca emerge che i soggetti con un basso livello di scolarizzazione ottengono punteggi medi più elevati nelle dimensioni “esaurimento emotivo” e “depersonalizzazione” e punteggi medi più bassi nella dimensione “realizzazione personale”. Possiamo ipotizzare che questi soggetti, che hanno conseguito un titolo di studio ”basso” (licenza elementare, licenza media o qualifica professionale), siano più a rischio di burnout rispetto a quelli che hanno conseguito la laurea o un titolo di specializzazione post-lauream. Emergono, inoltre, differenze in relazione al reparto di appartenenza: i soggetti che lavorano presso i reparti di medicina ottengono punteggi superiori in relazione alla dimensione “esaurimento emotivo”, mentre i soggetti che lavorano presso i reparti di chirurgia ottengono punteggi superiori in relazione alla dimensione “depersonalizzazione”. I contenuti del lavoro, che contribuiscono a strutturare la relazione con i clienti/utenti, sembrerebbero avere una qualche influenza sulle dimensioni che caratterizzano la sindrome. Inoltre, i soggetti che lavorano a stretto contatto con i pazienti (medici e infermieri), con un’anzianità di servizio elevata (superiore ai 15 anni) o bassa (inferiore ai 5 anni) ottengono medie superiori degli altri colleghi nella dimensione “realizzazione personale”. In relazione al secondo obiettivo emerge che, nonostante i soggetti del nostro campione si identifichino in tutti e quattro i profili di tipizzazione sessuale considerati, una percentuale elevata, sia di maschi sia di femmine, si riconosce in un profilo stereotipato rispetto al genere di appartenenza. Altresì, una percentuale non trascurabile di soggetti, più femmine che maschi, si identifica in un profilo nel quale sono altamente rappresentati sia tratti maschili sia tratti femminili (profilo androgino) e ancora, un altro gruppo di soggetti, in questo caso più maschi che femmine, si descrive in un profilo scarsamente tipizzato sia in senso maschile sia in senso femminile (profilo indifferenziato). Possiamo quindi affermare che nel nostro campione sono rappresentati sia soggetti che tendono a descriversi facendo riferimento ai modelli sui generi tradizionali e fortemente stereotipici, sia soggetti che non riconoscendosi nelle categorie classiche si descrivono in modo più progressista senza far coincidere le caratteristiche sessuali con quelle di genere, sia soggetti “confusi” che con difficoltà descrivono la loro identità di genere. I dati prodotti evidenziano relazioni significative tra i livelli di burnout e i livelli di tipizzazione sessuale. I soggetti che risultano scarsamente tipizzati sia in senso maschile sia in senso femminile sembrano più a rischio di burnout, in quanto ottengono i punteggi più elevati nella dimensione “depersonalizzazione” e i punteggi più bassi nella dimensione “realizzazione personale”. I soggetti che si identificano in un “profilo androgino”, invece, risultato meno a rischio in quanto hanno ottenuto i punteggi più bassi nella dimensione “depersonalizzazione” e i punteggi più alti nella dimensione “realizzazione personale”. I soggetti meno “sessualmente tipizzati”, che non si identificano in un profilo stereotipato rispetto al genere, ma si descrivono utilizzando sia tratti tipicamente femminili sia tratti tipicamente maschili, risultano meno a rischio di burnout degli altri colleghi probabilmente perché le caratteristiche del “profilo androgino” permettono agli individui di essere più flessibili e di adattarsi più facilmente alle diverse richieste del contesto.
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