Il d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, dà esecuzione, in materia di diritto d’accesso, alla l. n. 241 del 1990 novellata, abrogando il precedente d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352. Il nuovo testo regolamentare è caratterizzato da una forte contraddittorietà: infatti a norme improntate da un evidente favor nei confronti dell’esercizio dell’accesso si accompagnano disposizioni decisamente restrittive della funzionalità e dell’effettività dell’istituto. Questa ambiguità è frutto della configurazione che l’accesso ha ricevuto in sede legislativa fin dal 1990, quando il legislatore, sensibile più alle resistenze dell’amministrazione che alle esigenze della società, lo ha delineato in modo estremamente debole, nonostante le suggestioni dell’autorevole Progetto Nigro e la vigenza di leggi che, accogliendone l’impostazione, hanno configurato il diritto d’accesso come strumento generale di trasparenza. La l. n. 15 del 2005 e il relativo regolamento hanno, se possibile, indebolito ancor di più questo istituto, irrigidendo i requisiti di legittimazione, sancendo l’inammissibilità di istanze volte ad un controllo generalizzato dell’azione amministrativa e, soprattutto, imponendo all’amministrazione l’obbligo di coinvolgere nel procedimento i controinteressati all’ostensione, in quanto portatori dell’interesse alla riservatezza. La nuova disciplina “privatizza” il diritto d’accesso, privandolo della sua vocazione pubblicistica, e complica i suoi rapporti con la riservatezza, indebolendolo così notevolmente anche come strumento per la difesa della sfera giuridica di chi lo esercita. Peraltro, alcune disposizioni della l. n. 241 e del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, testo unico in materia di privacy, consentono di delineare diversamente l’istituto, restituendogli alcune delle sue potenzialità. L’art. 24, settimo comma, l. n. 241 del 1990, sancisce la prevalenza della trasparenza sulla riservatezza, circoscrivendo l’ambito d’utilizzo delle informazioni conseguite con l’esercizio dell’accesso; il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, fa salva in toto questa disciplina. Il medesimo testo unico prevede, inoltre, una serie di sanzioni civili, penali ed amministrative per punire il trattamento illegittimo di dati personali: queste, insieme alla prescrizione dell’ambito di utilizzazione di cui all’art. 24 citato, consentono di delineare un sistema di responsabilità per il cattivo uso delle informazioni conseguite mediante l’esercizio dell’accesso, che potrebbe rappresentare un utile punto di equilibrio nei rapporti fra trasparenza e riservatezza.

Prime considerazioni sul d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, regolamento per l’esercizio del diritto d’accesso

PUBUSA, FRANCESCA
2007-01-01

Abstract

Il d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, dà esecuzione, in materia di diritto d’accesso, alla l. n. 241 del 1990 novellata, abrogando il precedente d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352. Il nuovo testo regolamentare è caratterizzato da una forte contraddittorietà: infatti a norme improntate da un evidente favor nei confronti dell’esercizio dell’accesso si accompagnano disposizioni decisamente restrittive della funzionalità e dell’effettività dell’istituto. Questa ambiguità è frutto della configurazione che l’accesso ha ricevuto in sede legislativa fin dal 1990, quando il legislatore, sensibile più alle resistenze dell’amministrazione che alle esigenze della società, lo ha delineato in modo estremamente debole, nonostante le suggestioni dell’autorevole Progetto Nigro e la vigenza di leggi che, accogliendone l’impostazione, hanno configurato il diritto d’accesso come strumento generale di trasparenza. La l. n. 15 del 2005 e il relativo regolamento hanno, se possibile, indebolito ancor di più questo istituto, irrigidendo i requisiti di legittimazione, sancendo l’inammissibilità di istanze volte ad un controllo generalizzato dell’azione amministrativa e, soprattutto, imponendo all’amministrazione l’obbligo di coinvolgere nel procedimento i controinteressati all’ostensione, in quanto portatori dell’interesse alla riservatezza. La nuova disciplina “privatizza” il diritto d’accesso, privandolo della sua vocazione pubblicistica, e complica i suoi rapporti con la riservatezza, indebolendolo così notevolmente anche come strumento per la difesa della sfera giuridica di chi lo esercita. Peraltro, alcune disposizioni della l. n. 241 e del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, testo unico in materia di privacy, consentono di delineare diversamente l’istituto, restituendogli alcune delle sue potenzialità. L’art. 24, settimo comma, l. n. 241 del 1990, sancisce la prevalenza della trasparenza sulla riservatezza, circoscrivendo l’ambito d’utilizzo delle informazioni conseguite con l’esercizio dell’accesso; il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, fa salva in toto questa disciplina. Il medesimo testo unico prevede, inoltre, una serie di sanzioni civili, penali ed amministrative per punire il trattamento illegittimo di dati personali: queste, insieme alla prescrizione dell’ambito di utilizzazione di cui all’art. 24 citato, consentono di delineare un sistema di responsabilità per il cattivo uso delle informazioni conseguite mediante l’esercizio dell’accesso, che potrebbe rappresentare un utile punto di equilibrio nei rapporti fra trasparenza e riservatezza.
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