Nonostante il significativo contributo dell'Italia allo sviluppo della storia della musica, il sistema di istruzione nazionale ha assegnato all’educazione musicale un ruolo subalterno, a lungo escludendola dai programmi istituzionali e confinandola all’interno dei Conservatori di musica, storiche istituzioni di apprendimento teorico e pratico della musica con fini professionalizzanti. Dalla seconda metà del Novecento, una combinazione di fattori endogeni ed esogeni mette in discussione le funzioni e le regole del “modello Conservatorio”, le cui caratteristiche mal si conciliano con quelle dei sistemi di istruzione più avanzati. Dopo svariati tentativi di riforma falliti, alla fine degli anni Novanta una legge inserisce Conservatori e altri Istituti di musica e di arte applicata riconosciuti dallo Stato nel livello di istruzione terziario, fino ad allora campo esclusivo del sistema universitario, istituendovi il settore dell’Alta formazione artistica e musicale (AFAM). La logica di avanzamento per stadi gerarchizzati, tipica dei sistemi di istruzione moderni, porterebbe a leggere tale ricollocazione in un livello superiore come una promozione del campo della formazione musicale professionalizzante e degli attori che vi appartengono. Eppure l’analisi preliminare dei risultati di una ricerca empirica mostra come una significativa parte di questi ultimi viva la riforma, al contrario, come una mortificazione delle proprie competenze e una svalutazione della tradizione formativa dei Conservatori. Nel saggio tale paradosso è sciolto alla luce delle riflessioni bourdieusiane sui sistemi educativi, che svelano dietro la pretesa naturalità e neutralità culturale delle classificazioni scolastiche e accademiche la presenza di meccanismi di dominio simbolico e socio-economico.

Maestro o Dottore? Una lettura bourdieusiana della riforma dei Conservatori di musica in Italia

CASULA, CLEMENTINA
2015-01-01

Abstract

Nonostante il significativo contributo dell'Italia allo sviluppo della storia della musica, il sistema di istruzione nazionale ha assegnato all’educazione musicale un ruolo subalterno, a lungo escludendola dai programmi istituzionali e confinandola all’interno dei Conservatori di musica, storiche istituzioni di apprendimento teorico e pratico della musica con fini professionalizzanti. Dalla seconda metà del Novecento, una combinazione di fattori endogeni ed esogeni mette in discussione le funzioni e le regole del “modello Conservatorio”, le cui caratteristiche mal si conciliano con quelle dei sistemi di istruzione più avanzati. Dopo svariati tentativi di riforma falliti, alla fine degli anni Novanta una legge inserisce Conservatori e altri Istituti di musica e di arte applicata riconosciuti dallo Stato nel livello di istruzione terziario, fino ad allora campo esclusivo del sistema universitario, istituendovi il settore dell’Alta formazione artistica e musicale (AFAM). La logica di avanzamento per stadi gerarchizzati, tipica dei sistemi di istruzione moderni, porterebbe a leggere tale ricollocazione in un livello superiore come una promozione del campo della formazione musicale professionalizzante e degli attori che vi appartengono. Eppure l’analisi preliminare dei risultati di una ricerca empirica mostra come una significativa parte di questi ultimi viva la riforma, al contrario, come una mortificazione delle proprie competenze e una svalutazione della tradizione formativa dei Conservatori. Nel saggio tale paradosso è sciolto alla luce delle riflessioni bourdieusiane sui sistemi educativi, che svelano dietro la pretesa naturalità e neutralità culturale delle classificazioni scolastiche e accademiche la presenza di meccanismi di dominio simbolico e socio-economico.
2015
9788884679529
Educazione musicale; legittimazione culturale; Conservatori di musica; Pierre Bourdieu
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