Il saggio ha ad oggetto l’analisi della giurisprudenza amministrativa in materia di condizione giuridica dello straniero alla luce della giurisprudenza costituzionale. Della giurisprudenza amministrativa sono stati selezionati i casi e le decisioni “costituzionalmente rilevanti”, quelli cioè che mostrano il grado di sensibilità e recettività del giudice amministrativo rispetto ai principi elaborati dalla Corte costituzionale. Così, da una parte, sono stati ricostruiti i casi di “dialogo” diretto con il giudice delle leggi stimolati dalle questioni di legittimità costituzionale sollevate; dall’altra, sono state analizzate le decisioni in grado di mostrare se e come il giudice amministrativo abbia utilizzato le norme o la giurisprudenza costituzionali al fine di risolvere i dubbi interpretativi delle disposizioni di legge tramite soluzioni ermeneutiche costituzionalmente orientate. Complessivamente, l’attività demolitoria della Corte costituzionale in tema di stranieri e cittadinanza si è limitata alle previsioni legislative più manifestamente incostituzionali e, per il resto, si è trattato soprattutto di una giurisprudenza interpretativa che, nell’attivare i meccanismi tipici del dialogo con i giudici a quibus, ha elaborato criteri di giudizio a maglie larghe, ispirati al principio del favor legis, le cui parole chiave sono state: ampia discrezionalità, non manifesta irragionevolezza, rispetto del nucleo irriducibile dei diritti fondamentali. Si può dire che il dialogo tra giudice amministrativo e giudice delle leggi si è rivelato ad oggi in larga misura autoreferenziale. Non pare, cioè, che il reciproco stimolo delle due giurisprudenze si sia riverberato in modo significativo sugli altri settori della materia non direttamente interessati dalle questioni di costituzionalità e, tanto meno, sull’attività dell’amministrazione. Rispetto a questo contesto, la Corte costituzionale e il giudice amministrativo offrono pochi spunti originali, traspare un’idea di straniero visto più che altro come un problema di ordine pubblico. Si è tuttavia potuto rilevare un profilo potenzialmente innovativo nella giurisprudenza in subiecta materia che, se opportunamente sviluppato dal giudice amministrativo e sostenuto dalla dottrina, potrebbe avviare un nuovo modo di concepire il soggiorno del cittadino extracomunitario in Italia. Ci riferiamo a quel recente orientamento giurisprudenziale, ancora minoritario, secondo cui è innegabile che, fermo restando il modello impugnatorio, il processo amministrativo si sia nel corso degli anni evoluto in modo tale che il suo oggetto non sia solo l’atto impugnato, ma si estenda alla pretesa sostanziale posta alla base dell’impugnazione. Questo orientamento del giudice amministrativo (dietro il quale si cela la possibilità di considerare il soggiorno del migrante quale situazione giuridica soggettiva complessa, che il giudice amministrativo è chiamato a considerare nella sua globalità), ha consentito, ad esempio, ad alcuni Tar, di ritenere per alcuni profili derogabile il principio del tempus regit actum, o di poter parlare di legittimo affidamento dello straniero a veder rinnovato il suo permesso di soggiorno, obbligando così l’amministrazione a dover adeguatamente motivare in caso di rifiuto dello stesso. Se questo orientamento divenisse maggioritario nella giurisprudenza amministrativa, grazie anche al sostegno della Corte costituzionale, allora davvero si porrebbero le fondamenta per la costruzione di uno statuto giuridico dello straniero più sensibile ai valori costituzionali dell’individuo: l’idea cioè che lo straniero sia non più (o non solo) un problema di ordine pubblico, ma innanzitutto e soprattutto una persona.

La condizione giuridica dello straniero nel "dialogo" tra Corte costituzionale e giudice amministrativo

DEFFENU, ANDREA
2010-01-01

Abstract

Il saggio ha ad oggetto l’analisi della giurisprudenza amministrativa in materia di condizione giuridica dello straniero alla luce della giurisprudenza costituzionale. Della giurisprudenza amministrativa sono stati selezionati i casi e le decisioni “costituzionalmente rilevanti”, quelli cioè che mostrano il grado di sensibilità e recettività del giudice amministrativo rispetto ai principi elaborati dalla Corte costituzionale. Così, da una parte, sono stati ricostruiti i casi di “dialogo” diretto con il giudice delle leggi stimolati dalle questioni di legittimità costituzionale sollevate; dall’altra, sono state analizzate le decisioni in grado di mostrare se e come il giudice amministrativo abbia utilizzato le norme o la giurisprudenza costituzionali al fine di risolvere i dubbi interpretativi delle disposizioni di legge tramite soluzioni ermeneutiche costituzionalmente orientate. Complessivamente, l’attività demolitoria della Corte costituzionale in tema di stranieri e cittadinanza si è limitata alle previsioni legislative più manifestamente incostituzionali e, per il resto, si è trattato soprattutto di una giurisprudenza interpretativa che, nell’attivare i meccanismi tipici del dialogo con i giudici a quibus, ha elaborato criteri di giudizio a maglie larghe, ispirati al principio del favor legis, le cui parole chiave sono state: ampia discrezionalità, non manifesta irragionevolezza, rispetto del nucleo irriducibile dei diritti fondamentali. Si può dire che il dialogo tra giudice amministrativo e giudice delle leggi si è rivelato ad oggi in larga misura autoreferenziale. Non pare, cioè, che il reciproco stimolo delle due giurisprudenze si sia riverberato in modo significativo sugli altri settori della materia non direttamente interessati dalle questioni di costituzionalità e, tanto meno, sull’attività dell’amministrazione. Rispetto a questo contesto, la Corte costituzionale e il giudice amministrativo offrono pochi spunti originali, traspare un’idea di straniero visto più che altro come un problema di ordine pubblico. Si è tuttavia potuto rilevare un profilo potenzialmente innovativo nella giurisprudenza in subiecta materia che, se opportunamente sviluppato dal giudice amministrativo e sostenuto dalla dottrina, potrebbe avviare un nuovo modo di concepire il soggiorno del cittadino extracomunitario in Italia. Ci riferiamo a quel recente orientamento giurisprudenziale, ancora minoritario, secondo cui è innegabile che, fermo restando il modello impugnatorio, il processo amministrativo si sia nel corso degli anni evoluto in modo tale che il suo oggetto non sia solo l’atto impugnato, ma si estenda alla pretesa sostanziale posta alla base dell’impugnazione. Questo orientamento del giudice amministrativo (dietro il quale si cela la possibilità di considerare il soggiorno del migrante quale situazione giuridica soggettiva complessa, che il giudice amministrativo è chiamato a considerare nella sua globalità), ha consentito, ad esempio, ad alcuni Tar, di ritenere per alcuni profili derogabile il principio del tempus regit actum, o di poter parlare di legittimo affidamento dello straniero a veder rinnovato il suo permesso di soggiorno, obbligando così l’amministrazione a dover adeguatamente motivare in caso di rifiuto dello stesso. Se questo orientamento divenisse maggioritario nella giurisprudenza amministrativa, grazie anche al sostegno della Corte costituzionale, allora davvero si porrebbero le fondamenta per la costruzione di uno statuto giuridico dello straniero più sensibile ai valori costituzionali dell’individuo: l’idea cioè che lo straniero sia non più (o non solo) un problema di ordine pubblico, ma innanzitutto e soprattutto una persona.
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