A partire dall’inizio del ventunesimo secolo, a seguito di importanti iniziative europee quali il Millennium Ecosystem Assessment (2005) o globali quali The Economics of Ecosystems and Biodiversity (Kumar, 2011), l’idea che la valutazione dei servizi ecosistemici (nel seguito, SE) potesse essere utilizzata come strumento di supporto alle decisioni ha guadagnato visibilità e popolarità in diversi campi: dall’economia alle politiche pubbliche, alla pianificazione territoriale e valutazione ambientale. La concezione secondo cui la qualità della vita, nonché l’esistenza stessa dell’uomo, dipendono in vari modi dalla natura non risale, naturalmente, all’inizio del ventunesimo secolo. Diversi autori (tra cui, ad esempio, Gómez-Baggethun et al., 2010, Lele et al., 2016, Potschin et al., 2016) hanno ricostruito la genesi del concetto, che in letteratura viene spesso fatto risalire agli anni Settanta, con i lavori di Wilson e Mattews (1970) e di Westman (1977) nei quali si parlava di “servizi ambientali” o di “servizi della natura”; di “servizi ecosistemici” si iniziò invece a parlare all’inizio degli anni Ottanta (con Ehrlich e Mooney, 1983). Tuttavia, Daily (1997), cui insieme a Costanza et al. (1997) si deve una forte spinta alla diffusione di questa espressione, identifica addirittura in Platone il primo a riconoscere esplicitamente già nel IV secolo a.C., nel suo dialogo “Crizia”, che le attività antropiche possono condurre alla erosione dei suoli e alla perdita delle sorgenti d’acqua, e dunque il primo a riferirsi ai servizi offerti dalla natura in termini di loro perdita causata dall’uomo. Nonostante la recente popolarità del termine, o forse anche in reazione ad essa, negli anni recenti sono state avanzate alcune decise critiche, particolarmente dal mondo delle scienze naturali. Da un lato, a partire dalla fine degli anni Settanta, l’espressione «servizi ecosistemici» è andata a sovrapporsi e in alcuni casi a confondersi con, e sostituirsi a (Lele et al., 2013), la preesistente espressione “funzioni ecosistemiche”, che di per sé era riferita ai soli processi interni agli ecosistemi e prescindeva da eventuali utilità per il genere umano. In questo modo, dunque, il lessico delle discipline naturalistiche e ambientali si è contaminato con termini tipici delle scienze economiche con finalità comunicative e pedagogiche (Gómez-Baggethun et al., 2010), ovvero per accrescere la consapevolezza dell’importanza della biodiversità dimostrando che gli ecosistemi svolgono delle funzioni necessarie per sostenere la vita umana e pertanto si pongono “a servizio” dell’uomo. Il fine ultimo dell’appropriazione di termini economici, in questa prospettiva, è quello di costruire o rafforzare il consenso del pubblico e dei decisori pubblici rispetto alle politiche di conservazione della biodiversità. D’altro lato, argomentano gli studiosi delle discipline naturali, lo stesso utilizzo di termini del lessico economico ha portato a una “mercificazione” del concetto: l’attribuzione di un valore, per di più spesso monetario, ai servizi ecosistemici, fa sì che il valore del servizio1 offerto dalla natura all’uomo ricomprenda e oscuri quello delle risorse naturali che lo generano (Peterson et al., 2010); il processo di mercificazione si completa in anni recenti con l’introduzione di mercati per i servizi ecosistemici e di schemi di pagamento per i per i servizi ecosistemici (Gómez-Baggethun et al., 2010). [...] In questo capitolo si approfondisce la relazione tra SE e pianificazione territoriale (seconda sezione), con una discussione, basata sulla bibliografia disponibile, del livello attuale di inclusione dei SE nei processi di pianificazione (terza sezione), seguita da un’analisi relativa alla considerazione dei SE nella Valutazione Ambientale Strategica (VAS), sviluppata con un metodo di analisi qualitativa su un campione di rapporti ambientali recentemente approvati (quarta sezione). Infine, la quinta e ultima sezione delinea le conclusioni.

I servizi ecosistemici: uno strumento per le questioni di sostenibilità nel piano

LAI, SABRINA
2016-01-01

Abstract

A partire dall’inizio del ventunesimo secolo, a seguito di importanti iniziative europee quali il Millennium Ecosystem Assessment (2005) o globali quali The Economics of Ecosystems and Biodiversity (Kumar, 2011), l’idea che la valutazione dei servizi ecosistemici (nel seguito, SE) potesse essere utilizzata come strumento di supporto alle decisioni ha guadagnato visibilità e popolarità in diversi campi: dall’economia alle politiche pubbliche, alla pianificazione territoriale e valutazione ambientale. La concezione secondo cui la qualità della vita, nonché l’esistenza stessa dell’uomo, dipendono in vari modi dalla natura non risale, naturalmente, all’inizio del ventunesimo secolo. Diversi autori (tra cui, ad esempio, Gómez-Baggethun et al., 2010, Lele et al., 2016, Potschin et al., 2016) hanno ricostruito la genesi del concetto, che in letteratura viene spesso fatto risalire agli anni Settanta, con i lavori di Wilson e Mattews (1970) e di Westman (1977) nei quali si parlava di “servizi ambientali” o di “servizi della natura”; di “servizi ecosistemici” si iniziò invece a parlare all’inizio degli anni Ottanta (con Ehrlich e Mooney, 1983). Tuttavia, Daily (1997), cui insieme a Costanza et al. (1997) si deve una forte spinta alla diffusione di questa espressione, identifica addirittura in Platone il primo a riconoscere esplicitamente già nel IV secolo a.C., nel suo dialogo “Crizia”, che le attività antropiche possono condurre alla erosione dei suoli e alla perdita delle sorgenti d’acqua, e dunque il primo a riferirsi ai servizi offerti dalla natura in termini di loro perdita causata dall’uomo. Nonostante la recente popolarità del termine, o forse anche in reazione ad essa, negli anni recenti sono state avanzate alcune decise critiche, particolarmente dal mondo delle scienze naturali. Da un lato, a partire dalla fine degli anni Settanta, l’espressione «servizi ecosistemici» è andata a sovrapporsi e in alcuni casi a confondersi con, e sostituirsi a (Lele et al., 2013), la preesistente espressione “funzioni ecosistemiche”, che di per sé era riferita ai soli processi interni agli ecosistemi e prescindeva da eventuali utilità per il genere umano. In questo modo, dunque, il lessico delle discipline naturalistiche e ambientali si è contaminato con termini tipici delle scienze economiche con finalità comunicative e pedagogiche (Gómez-Baggethun et al., 2010), ovvero per accrescere la consapevolezza dell’importanza della biodiversità dimostrando che gli ecosistemi svolgono delle funzioni necessarie per sostenere la vita umana e pertanto si pongono “a servizio” dell’uomo. Il fine ultimo dell’appropriazione di termini economici, in questa prospettiva, è quello di costruire o rafforzare il consenso del pubblico e dei decisori pubblici rispetto alle politiche di conservazione della biodiversità. D’altro lato, argomentano gli studiosi delle discipline naturali, lo stesso utilizzo di termini del lessico economico ha portato a una “mercificazione” del concetto: l’attribuzione di un valore, per di più spesso monetario, ai servizi ecosistemici, fa sì che il valore del servizio1 offerto dalla natura all’uomo ricomprenda e oscuri quello delle risorse naturali che lo generano (Peterson et al., 2010); il processo di mercificazione si completa in anni recenti con l’introduzione di mercati per i servizi ecosistemici e di schemi di pagamento per i per i servizi ecosistemici (Gómez-Baggethun et al., 2010). [...] In questo capitolo si approfondisce la relazione tra SE e pianificazione territoriale (seconda sezione), con una discussione, basata sulla bibliografia disponibile, del livello attuale di inclusione dei SE nei processi di pianificazione (terza sezione), seguita da un’analisi relativa alla considerazione dei SE nella Valutazione Ambientale Strategica (VAS), sviluppata con un metodo di analisi qualitativa su un campione di rapporti ambientali recentemente approvati (quarta sezione). Infine, la quinta e ultima sezione delinea le conclusioni.
2016
9788891750761
Servizi ecosistemici, Sostenibilità ambientale, Valutazioni ambientali
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