Una prospettiva di teoria generale, epistemologicamente assistita, restituisce all’interesse legittimo (rectius, ad uno studio giuridico -in quanto imperniato sul dato “positivo”- intorno a quella qualificazione) un definito rango “strutturale” (in senso statico -dunque, di là dalle vicende di trasformazione che ultimamente lo hanno coinvolto, con sempre crescente frequenza, nel panorama delle situazioni giuridiche, soggettive-). Accade così che il correlato accostamento di quella figura, più che al(l’evanescente concetto di) potere, ad uno schema normativo improntato al tipo “consequenzialista” (anziché a quello “ipotetico-casuistico”), nel farne salva l’associazione di massima con la discrezionalità (cara al lessico del diritto amministrativo ed alle istanze funzionali cui è chiamato a rispondere quell’emisfero ordinamentale), si riveli altresì felice una volta messo alla prova del dato globale di esperienza (della poliedricità delle sue manifestazioni): tanto sul piano sostanziale come pure nell’interazione con quello della tutela; assecondando soddisfacentemente l’immancabile fabbisogno dogmatico specie quando si tratti di arginare la deriva polisemica della frammentaria metamorfosi di una disciplina che resta “speciale” nonostante i molteplici esperimenti di ricondurla ad un “diritto comune”. Col cedere a tale tentazione si tradisce infatti un’invarianza di base, al retrostante tipo di “carica” finendo ineluttabilmente per corrispondere un’“inversione di metodo”: come in passato l’enucleazione dell’interesse legittimo è scaturita da un’istanza di riparto giurisdizionale cui risultava sottesa una concezione rigida della divisione fra poteri dello Stato; così attualmente certa assimilazione al diritto soggettivo è figlia di una radicalizzazione dell’idea di “umanesimo giuridico” con corrispondente isterilimento dell’autorità. Laddove quest’ultimo “ingrediente” resta pur sempre alla radice del rapporto amministrativo e della sua impronta teleologica: quel perseguimento del “bene comune” che (nonostante gli impropri sconfinamenti della disciplina di relazione -cui spetterebbe di enucleare il solo interesse pubblico, generale- in ambiti che dovrebbero essere riservati a quella d’azione -cui pertiene l’interesse pubblico “di parte”-) non si presenta più come immutabile datità che lascia sullo sfondo l’interesse individuale, ma che tendenzialmente prende corpo per via della simbiosi in cui vive con quest’ultimo e che risulta disvelata da una riconduzione della discrezionalità entro l’alveo del “circolo ermeneutico”, così come dal ruolo che va assumendo il giudice amministrativo come “co-artefice” dell’ordine normativo. A quel punto, l’interesse legittimo finendo con l’identificarsi con lo stesso rapporto amministrativo colto dal punto di vista del cittadino.

L'"interesse legittimo" alla luce di un discorso teoretico-giuridico sul rapporto amministrativo ed il suo processo

Paolo Cotza
2017-01-01

Abstract

Una prospettiva di teoria generale, epistemologicamente assistita, restituisce all’interesse legittimo (rectius, ad uno studio giuridico -in quanto imperniato sul dato “positivo”- intorno a quella qualificazione) un definito rango “strutturale” (in senso statico -dunque, di là dalle vicende di trasformazione che ultimamente lo hanno coinvolto, con sempre crescente frequenza, nel panorama delle situazioni giuridiche, soggettive-). Accade così che il correlato accostamento di quella figura, più che al(l’evanescente concetto di) potere, ad uno schema normativo improntato al tipo “consequenzialista” (anziché a quello “ipotetico-casuistico”), nel farne salva l’associazione di massima con la discrezionalità (cara al lessico del diritto amministrativo ed alle istanze funzionali cui è chiamato a rispondere quell’emisfero ordinamentale), si riveli altresì felice una volta messo alla prova del dato globale di esperienza (della poliedricità delle sue manifestazioni): tanto sul piano sostanziale come pure nell’interazione con quello della tutela; assecondando soddisfacentemente l’immancabile fabbisogno dogmatico specie quando si tratti di arginare la deriva polisemica della frammentaria metamorfosi di una disciplina che resta “speciale” nonostante i molteplici esperimenti di ricondurla ad un “diritto comune”. Col cedere a tale tentazione si tradisce infatti un’invarianza di base, al retrostante tipo di “carica” finendo ineluttabilmente per corrispondere un’“inversione di metodo”: come in passato l’enucleazione dell’interesse legittimo è scaturita da un’istanza di riparto giurisdizionale cui risultava sottesa una concezione rigida della divisione fra poteri dello Stato; così attualmente certa assimilazione al diritto soggettivo è figlia di una radicalizzazione dell’idea di “umanesimo giuridico” con corrispondente isterilimento dell’autorità. Laddove quest’ultimo “ingrediente” resta pur sempre alla radice del rapporto amministrativo e della sua impronta teleologica: quel perseguimento del “bene comune” che (nonostante gli impropri sconfinamenti della disciplina di relazione -cui spetterebbe di enucleare il solo interesse pubblico, generale- in ambiti che dovrebbero essere riservati a quella d’azione -cui pertiene l’interesse pubblico “di parte”-) non si presenta più come immutabile datità che lascia sullo sfondo l’interesse individuale, ma che tendenzialmente prende corpo per via della simbiosi in cui vive con quest’ultimo e che risulta disvelata da una riconduzione della discrezionalità entro l’alveo del “circolo ermeneutico”, così come dal ruolo che va assumendo il giudice amministrativo come “co-artefice” dell’ordine normativo. A quel punto, l’interesse legittimo finendo con l’identificarsi con lo stesso rapporto amministrativo colto dal punto di vista del cittadino.
2017
978-88-495-3419-1
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