Negli ultimi cinque anni abbiamo costituito un gruppo di ricerca misto composto da ricercatori-geografi e professionisti della produzione visuale per riflettere sull’ipotesi di osservare la città come campo di studi privilegiati ma misurandoci con metodologie, tecniche, osservazioni multimediali, narrative, espressive ed emozionali. Utilizzando questo approccio consideriamo la città come una "categoria di pratiche" (Cooper et Brubaker, 2000) ovvero quelle pratiche dovute all’esperienza sociale: “the city as a category of practice, as a representation of people’s relationship to urbanization processes, rather than an as a category of analysis adequate to describe these processes themselves”. La ricerca via visuale impone una serie di questioni che impattano sulla ricerca, sul ruolo, la presenza, lo stare “dentro” al campo da parte del ricercatore. Il ricercatore deve pensare di essere soggetto e oggetto del proprio sguardo e del proprio pensiero (pena il rischio di oggettivare la sua visione), deve affinare la capacità di assolvere più sistemi di significati per “girarsi” e “guardare se stesso”; deve procedere verso la trasformazione di se stesso in un oggetto di osservazione: vale per il sogno, per i racconti popolari (tipicamente), per le narrazioni spaziali, per i fatti territoriali esplicitati nelle pratiche, per la pianificazione contemporanea del vivere comune; per la produzione del piano spaziale e immaginifico. Il tentativo è quello di affrontare l’osservazione sociale attraverso le rappresentazioni e le pratiche provando a far emergere i meccanismi di costruzione dei rapporti con lo spazio. In questo senso, le pratiche rilevano della sfera del fare, dell’agire, sono ciò che « qualifie l’action en tant que conséquence d’une vue théorique ou que mise en œuvre d’un projet» (Morfaux, 1980, p. 281). Le rappresentazioni, dal canto loro, sono definibili come “schemi pertinenti del reale” (Guérin & Gumuchian, 1985) legati allo spazio dal medium della pratica sociale (Debarbieux, 1991; Gumuchian, 1991, Bouhaddou, 2016). Anche l’osservazione è una“pratique sociale avant d’être une méthode scientifique” (Arborio & Fournier, 1999, p. 5-6) che può comportare un posizionamento distante o attivo/partecipante rispetto al grado di implicazione con lo spazio osservato. Nella produzione di immagini e video gli abitanti e i ricercatori sono posti al centro del processo di descrizione visuale dello spazio mentre la scelta di quale spazio fotografare/filmare è fatta a partire anche dall’impatto emozionale che si stabilisce tra osservatore e osservato. Condotta sulla base dei dati più quantitativi (o forti), l’abitante (dopo un piccolo percorso di formazione tecnica) sceglie in maniera libera su quale spazio investire la propria attenzione narrativa.
Sant’Elia. Frammenti di uno spazio quotidiano/Sant’Elia, Fragments of a daily space
Maurizio Memoli;Silvia Aru;Claudio Jampaglia;Bruno Chiaravalloti
2017-01-01
Abstract
Negli ultimi cinque anni abbiamo costituito un gruppo di ricerca misto composto da ricercatori-geografi e professionisti della produzione visuale per riflettere sull’ipotesi di osservare la città come campo di studi privilegiati ma misurandoci con metodologie, tecniche, osservazioni multimediali, narrative, espressive ed emozionali. Utilizzando questo approccio consideriamo la città come una "categoria di pratiche" (Cooper et Brubaker, 2000) ovvero quelle pratiche dovute all’esperienza sociale: “the city as a category of practice, as a representation of people’s relationship to urbanization processes, rather than an as a category of analysis adequate to describe these processes themselves”. La ricerca via visuale impone una serie di questioni che impattano sulla ricerca, sul ruolo, la presenza, lo stare “dentro” al campo da parte del ricercatore. Il ricercatore deve pensare di essere soggetto e oggetto del proprio sguardo e del proprio pensiero (pena il rischio di oggettivare la sua visione), deve affinare la capacità di assolvere più sistemi di significati per “girarsi” e “guardare se stesso”; deve procedere verso la trasformazione di se stesso in un oggetto di osservazione: vale per il sogno, per i racconti popolari (tipicamente), per le narrazioni spaziali, per i fatti territoriali esplicitati nelle pratiche, per la pianificazione contemporanea del vivere comune; per la produzione del piano spaziale e immaginifico. Il tentativo è quello di affrontare l’osservazione sociale attraverso le rappresentazioni e le pratiche provando a far emergere i meccanismi di costruzione dei rapporti con lo spazio. In questo senso, le pratiche rilevano della sfera del fare, dell’agire, sono ciò che « qualifie l’action en tant que conséquence d’une vue théorique ou que mise en œuvre d’un projet» (Morfaux, 1980, p. 281). Le rappresentazioni, dal canto loro, sono definibili come “schemi pertinenti del reale” (Guérin & Gumuchian, 1985) legati allo spazio dal medium della pratica sociale (Debarbieux, 1991; Gumuchian, 1991, Bouhaddou, 2016). Anche l’osservazione è una“pratique sociale avant d’être une méthode scientifique” (Arborio & Fournier, 1999, p. 5-6) che può comportare un posizionamento distante o attivo/partecipante rispetto al grado di implicazione con lo spazio osservato. Nella produzione di immagini e video gli abitanti e i ricercatori sono posti al centro del processo di descrizione visuale dello spazio mentre la scelta di quale spazio fotografare/filmare è fatta a partire anche dall’impatto emozionale che si stabilisce tra osservatore e osservato. Condotta sulla base dei dati più quantitativi (o forti), l’abitante (dopo un piccolo percorso di formazione tecnica) sceglie in maniera libera su quale spazio investire la propria attenzione narrativa.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.