Diventare musicista professionista non è impresa semplice, né apprezzata in Italia. Più che in altri paesi, il percorso storico di riconoscimento sociale della professione si è rivelato incompiuto e ancora oggi la pratica musicale e artistica risulta prevalentemente associata - dall’opinione pubblica, dai media, ma anche dagli studi accademici - alla sfera del tempo libero e dell’intrattenimento, piuttosto che ad una dimensione lavorativa e ad un sapere specialistico. Eppure la tradizione musicale dei secoli passati e la fama di celebri compositori, cantanti, direttori, strumentisti, è annoverata tra i principali miti che alimentano l’orgoglio identitario dell’Italia in ambito mondiale. Tale paradosso è riconducibile alla storia moderna e contemporanea dell’apprendimento musicale in Italia. Si tratta di una storia a due facce: quella dell’esclusione della pratica musicale dal novero dei saperi legittimi codificati nel sistema scolastico; quella della rimandata riorganizzazione culturale delle scuole per la formazione professionalizzante dei musicisti. Sin dalla sua istituzione negli ultimi decenni dell’Ottocento, il sistema di istruzione nazionale ha infatti sostanzialmente escluso dai curricula standard la formazione musicale, confinandola all’interno dei Conservatori di musica. Da allora, per oltre un secolo, i Conservatori resteranno in un regime di sostanziale autonomia, caratterizzato da un’autoriproduzione didattica e organizzativa, che – pur garantendo un buon livello medio di preparazione tecnica - risulta sempre più inadeguata a rispondere alle mutate esigenze didattiche, musicali, culturali e professionali, così come si sviluppano nel corso del Novecento. Alla chiusura del secolo, dopo svariati tentativi di riordino falliti, l’approvazione di una legge di riforma (n.508/1999) inserisce Conservatori e altri Istituti di musica e di arte applicata riconosciuti dallo Stato all’interno di un nuovo sistema: l’Alta formazione artistica e musicale (AFAM), collocata al vertice del sistema educativo, fino ad allora campo di esclusivo dominio del sistema universitario. Cosa ha portato lo Stato italiano ad inserire i Conservatori di musica nel livello di istruzione terziario? Si tratta di un tardivo tentativo di riabilitare e valorizzare la formazione musicale professionalizzante all’interno del sistema di istruzione nazionale e, più in generale, la musica all’interno del campo della cultura legittima? Chi è riuscito, e a partire da quali interessi, risorse e strategie, a far breccia nell’inerzia istituzionale che ha caratterizzato la storia di tali istituti? Quali strutture sono state previste per organizzare la formazione musicale pre-accademica degli allievi, necessaria per accedere ai Conservatori così riformati? Quali sono stati i risultati che, a circa venti anni dall’approvazione della legge, registra l’implementazione della Riforma? Questi sono i principali interrogativi ai quali l’indagine si propone di rispondere, adottando un approccio che integra fonti di diversa natura e metodi quantitativi e qualitativi nello studio del moderno Conservatorio di Musica italiano come forma organizzativa finalizzata alla formazione professionalizzante dei musicisti.
Diventare musicista. Indagine sociologica sui Conservatori di musica in Italia
Casula, Clementina
2018-01-01
Abstract
Diventare musicista professionista non è impresa semplice, né apprezzata in Italia. Più che in altri paesi, il percorso storico di riconoscimento sociale della professione si è rivelato incompiuto e ancora oggi la pratica musicale e artistica risulta prevalentemente associata - dall’opinione pubblica, dai media, ma anche dagli studi accademici - alla sfera del tempo libero e dell’intrattenimento, piuttosto che ad una dimensione lavorativa e ad un sapere specialistico. Eppure la tradizione musicale dei secoli passati e la fama di celebri compositori, cantanti, direttori, strumentisti, è annoverata tra i principali miti che alimentano l’orgoglio identitario dell’Italia in ambito mondiale. Tale paradosso è riconducibile alla storia moderna e contemporanea dell’apprendimento musicale in Italia. Si tratta di una storia a due facce: quella dell’esclusione della pratica musicale dal novero dei saperi legittimi codificati nel sistema scolastico; quella della rimandata riorganizzazione culturale delle scuole per la formazione professionalizzante dei musicisti. Sin dalla sua istituzione negli ultimi decenni dell’Ottocento, il sistema di istruzione nazionale ha infatti sostanzialmente escluso dai curricula standard la formazione musicale, confinandola all’interno dei Conservatori di musica. Da allora, per oltre un secolo, i Conservatori resteranno in un regime di sostanziale autonomia, caratterizzato da un’autoriproduzione didattica e organizzativa, che – pur garantendo un buon livello medio di preparazione tecnica - risulta sempre più inadeguata a rispondere alle mutate esigenze didattiche, musicali, culturali e professionali, così come si sviluppano nel corso del Novecento. Alla chiusura del secolo, dopo svariati tentativi di riordino falliti, l’approvazione di una legge di riforma (n.508/1999) inserisce Conservatori e altri Istituti di musica e di arte applicata riconosciuti dallo Stato all’interno di un nuovo sistema: l’Alta formazione artistica e musicale (AFAM), collocata al vertice del sistema educativo, fino ad allora campo di esclusivo dominio del sistema universitario. Cosa ha portato lo Stato italiano ad inserire i Conservatori di musica nel livello di istruzione terziario? Si tratta di un tardivo tentativo di riabilitare e valorizzare la formazione musicale professionalizzante all’interno del sistema di istruzione nazionale e, più in generale, la musica all’interno del campo della cultura legittima? Chi è riuscito, e a partire da quali interessi, risorse e strategie, a far breccia nell’inerzia istituzionale che ha caratterizzato la storia di tali istituti? Quali strutture sono state previste per organizzare la formazione musicale pre-accademica degli allievi, necessaria per accedere ai Conservatori così riformati? Quali sono stati i risultati che, a circa venti anni dall’approvazione della legge, registra l’implementazione della Riforma? Questi sono i principali interrogativi ai quali l’indagine si propone di rispondere, adottando un approccio che integra fonti di diversa natura e metodi quantitativi e qualitativi nello studio del moderno Conservatorio di Musica italiano come forma organizzativa finalizzata alla formazione professionalizzante dei musicisti.File | Dimensione | Formato | |
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