In controtendenza rispetto ai molti commenti che ne hanno accolto con entusiasmo l'introduzione nell'ordinamento, il saggio esclude l'idoneità del nuovo istituto a rappresentare una alternativa al testamento ai fini della trasmissione della ricchezza familiare, anche se limitatamente all'impresa e alle partecipazioni sociali. Vari gli argomenti di critica: la perdurante validità del divieto di patti successori, non intaccata da un atto tra vivi che ha la finalità di liquidare immediatamente ed irreversibilmente un bene dal patrimonio del disponente senza risolvere i problemi connessi agli atti anticipatori della succesione ed, anzi, in qualche caso aggravandoli (quale, ad esempio, la mancata previsione dell'imputazione ex sè dell'assegnatario che sia anche legittimario); la limitata libertà del disponente e l'incerta natura donativa del suo atto di disposizione; il declassamento da reale ad obbligatoria della tutela dei legittimari, soprattutto di quelli sopravvenuti al patto o che non vi abbiano partecipato; la posizione del coniuge, per l'ingiustificato vantaggio del coniuge partecipante al patto rispetto al superstite, soprattutto nei casi in cui non si tratti dello stesso soggetto; l'indebolimento del principio di intangibilità della legittima. Il quadro complessivo che ne emerge è quello di un istituto neppure totalmente piegato alle esigenze dell'impresa, considerato che si tende a limitare l'operatività del patto ai soli rapporti in linea retta, al miglioramento del quale non avrebbero significativamente inciso neppure le modifiche proposte e poi non attuate; di fatto, un istituto non certo essenziale per la soluzione dei problemi che esso investe, peraltro pienamente risovibili con gli ordinari strumenti successori, come dettagliatamente analizzato nel saggio e come il quasi insignificante utilizzo dell'istituto nella pratica comprovano.

Patto di famiglia, patti successori e tutela dei legittimari

FALZONE, MARIA GIOVANNA
2009-01-01

Abstract

In controtendenza rispetto ai molti commenti che ne hanno accolto con entusiasmo l'introduzione nell'ordinamento, il saggio esclude l'idoneità del nuovo istituto a rappresentare una alternativa al testamento ai fini della trasmissione della ricchezza familiare, anche se limitatamente all'impresa e alle partecipazioni sociali. Vari gli argomenti di critica: la perdurante validità del divieto di patti successori, non intaccata da un atto tra vivi che ha la finalità di liquidare immediatamente ed irreversibilmente un bene dal patrimonio del disponente senza risolvere i problemi connessi agli atti anticipatori della succesione ed, anzi, in qualche caso aggravandoli (quale, ad esempio, la mancata previsione dell'imputazione ex sè dell'assegnatario che sia anche legittimario); la limitata libertà del disponente e l'incerta natura donativa del suo atto di disposizione; il declassamento da reale ad obbligatoria della tutela dei legittimari, soprattutto di quelli sopravvenuti al patto o che non vi abbiano partecipato; la posizione del coniuge, per l'ingiustificato vantaggio del coniuge partecipante al patto rispetto al superstite, soprattutto nei casi in cui non si tratti dello stesso soggetto; l'indebolimento del principio di intangibilità della legittima. Il quadro complessivo che ne emerge è quello di un istituto neppure totalmente piegato alle esigenze dell'impresa, considerato che si tende a limitare l'operatività del patto ai soli rapporti in linea retta, al miglioramento del quale non avrebbero significativamente inciso neppure le modifiche proposte e poi non attuate; di fatto, un istituto non certo essenziale per la soluzione dei problemi che esso investe, peraltro pienamente risovibili con gli ordinari strumenti successori, come dettagliatamente analizzato nel saggio e come il quasi insignificante utilizzo dell'istituto nella pratica comprovano.
2009
88-243-1886-X
patto di famiglia; patti successori; legitimari
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