La Corte costituzionale con le sentenze 303/2003 e 6/2004 ha affermato che il principio di sussidiarietà legittima l’intervento della legge statale nella sfera di competenza regionale laddove le funzioni amministrative possano essere meglio esercitate, tenuto conto dell’esigenze unitarie, a livello statale. In tali decisioni, tuttavia, la “chiamata in sussidiarietà” è stata ritenuta legittima solo nel caso in cui la legge preveda adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali. Se quindi con tali decisioni la Corte costituzionale ha rinunciato ad una garanzia “granitica” del riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni, con la giurisprudenza successiva ha però difeso energicamente l’effettività del principio di leale collaborazione, non esitando ad utilizzare l’invasivo strumento delle sentenze manipolative. Dall’analisi della giurisprudenza si è quindi desunto che la Corte costituzionale fa uso di quattro tipi di sentenze manipolative: le sentenze additive di principio di leale collaborazione, le sentenze additive di parere, le sentenze additive di intesa, le sentenze sostitutive d’intesa. Le decisioni manipolative non di principio destano tuttavia alcune perplessità, in quanto appaiono a tratti carenti del presupposto logico che le dovrebbe giustificare, ossia la natura di sentenze “a rime obbligate”. Mentre infatti nei giudizi ex art. 3 Cost. il tertium comparationis è un precetto legislativo la cui relativa determinatezza riduce il margine di discrezionalità della Consulta, al contrario, nei giudizi in cui viene in evidenza la violazione del principio di leale collaborazione da parte della legge statale, la Corte è chiamata a operare opzioni di politica costituzionale: l’individuazione della materia cui ricondurre la disciplina oggetto del giudizio; l’individuazione della materia predominante; la puntuale individuazione degli organi e degli atti che soddisfano il principio di leale collaborazione. Nonostante le perplessità in ordine alla sussistenza del presupposto logico-giuridico delle rime obbligate, tale giurisprudenza appare coerente con il ruolo che la Consulta si è ritagliata in funzione della garanzia del riparto di competenza legislativa e del connesso principio di leale collaborazione.

“Effettività” e “seguito” della giurisprudenza costituzionale sul principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni

CHERCHI, ROBERTO MARIA;RUGGIU, ILENIA
2006-01-01

Abstract

La Corte costituzionale con le sentenze 303/2003 e 6/2004 ha affermato che il principio di sussidiarietà legittima l’intervento della legge statale nella sfera di competenza regionale laddove le funzioni amministrative possano essere meglio esercitate, tenuto conto dell’esigenze unitarie, a livello statale. In tali decisioni, tuttavia, la “chiamata in sussidiarietà” è stata ritenuta legittima solo nel caso in cui la legge preveda adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali. Se quindi con tali decisioni la Corte costituzionale ha rinunciato ad una garanzia “granitica” del riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni, con la giurisprudenza successiva ha però difeso energicamente l’effettività del principio di leale collaborazione, non esitando ad utilizzare l’invasivo strumento delle sentenze manipolative. Dall’analisi della giurisprudenza si è quindi desunto che la Corte costituzionale fa uso di quattro tipi di sentenze manipolative: le sentenze additive di principio di leale collaborazione, le sentenze additive di parere, le sentenze additive di intesa, le sentenze sostitutive d’intesa. Le decisioni manipolative non di principio destano tuttavia alcune perplessità, in quanto appaiono a tratti carenti del presupposto logico che le dovrebbe giustificare, ossia la natura di sentenze “a rime obbligate”. Mentre infatti nei giudizi ex art. 3 Cost. il tertium comparationis è un precetto legislativo la cui relativa determinatezza riduce il margine di discrezionalità della Consulta, al contrario, nei giudizi in cui viene in evidenza la violazione del principio di leale collaborazione da parte della legge statale, la Corte è chiamata a operare opzioni di politica costituzionale: l’individuazione della materia cui ricondurre la disciplina oggetto del giudizio; l’individuazione della materia predominante; la puntuale individuazione degli organi e degli atti che soddisfano il principio di leale collaborazione. Nonostante le perplessità in ordine alla sussistenza del presupposto logico-giuridico delle rime obbligate, tale giurisprudenza appare coerente con il ruolo che la Consulta si è ritagliata in funzione della garanzia del riparto di competenza legislativa e del connesso principio di leale collaborazione.
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