Contro ogni aspettativa e previsione di declino (Coser 1993, Sarti 2005 e 2014), il lavoro domestico retribuito è svolto tuttora da un numero rilevante di lavoratrici in tutto il mondo, e non sembra ridursi. È stato osservato addirittura un ritorno del lavoro domestico (Colombo 2003), seppure con caratteristiche diverse rispetto al passato, di cui la crescente componente migratoria rappresenta senza dubbio il cambiamento più rilevante (Colombo 2005). Si stima che i lavoratori domestici siano 67 milioni nel mondo, per l’80 per cento donne (quasi 54 milioni). Tra questi, i migranti sono 11,5 milioni, di cui 8,5 milioni di donne, e rappresentano il 17 per cento dei lavoratori domestici globali (ILO 2015a). Ciò significa che l’83 per cento degli addetti al servizio domestico sono autoctoni, meglio, autoctone. La crescita inarrestabile e silenziosa del lavoro domestico e le sue trasformazioni su scala globale e nazionale hanno sollecitato l’interesse di studiose e studiosi e delle istituzioni internazionali, che ha portato, fra l’altro, all’approvazione della Convenzione n. 189 del 2011 sul lavoro dignitoso per lavoratori e lavoratrici domestiche da parte della Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). L’Italia è il terzo paese in Europa in termini di incidenza del lavoro domestico, dopo Spagna e Francia (ILO 2013). È il quarto Stato membro dell’OIL e il primo tra gli Stati membri dell’Unione Europea ad aver ratificato la Convenzione n. 189, entrata in vigore il 5 settembre 2013 (ILO 2015b). Nel 2016 in Italia i lavoratori con uno o più rapporti di lavoro domestico registrati all’Inps sono quasi 900 mila, oltre l’85 per cento sono donne e il 73,5 per cento sono stranieri (a loro volta per l’86 per cento donne). I dati dell’Inps non consentono di conoscere la dimensione reale del fenomeno, che sfugge in parte alle rilevazioni statistiche e amministrative a causa delle diffuse condizioni di irregolarità e di vero e proprio sommerso cui è tipicamente esposto. I dati tuttavia confermano senza equivoci che il lavoro domestico è ancora un’occupazione largamente femminile (solo nei paesi Arabi la quota maschile oltrepassa il 40 per cento), che coinvolge in misura crescente donne migranti, ma che in Italia – particolarmente in alcuni territori - non ha mai smesso di attrarre una parte dell’offerta femminile di lavoro autoctona. È proprio su questa componente che si concentra l’attenzione del contributo proposto, con l’obiettivo di fare emergere i meccanismi sociali che spingono forze di lavoro femminili “locali” verso il lavoro domestico, facendone un consolidato bacino occupazionale per donne giovani e adulte, soprattutto in alcuni territori, malgrado il generale innalzamento dei livelli di istruzione femminile e la concorrenza di un’offerta di lavoro immigrata a basso costo e con ampie disponibilità in termini di tempo e di co-residenza. Le donne italiane occupate regolarmente nel servizio domestico sono quasi 200mila (fonte INPS), in costante crescita, e rappresentano il 26 per cento delle lavoratrici domestiche totali. Negli ultimi dieci anni, in quasi tutte le regioni il numero delle donne italiane occupate nel lavoro domestico è aumentato, mentre sembra ridursi negli ultimi due anni il numero delle lavoratrici domestiche straniere, dopo avere toccato il picco nel 2012 in seguito all’ultima serie di provvedimenti in materia di emersione del lavoro immigrato e irregolare (Colombo 2009). La quota più elevata di lavoratrici domestiche autoctone è in Sardegna, dove i dati INPS rilevano il 16,3 per cento delle lavoratrici domestiche italiane. Sono 32.288, quasi diecimila in più che in Lombardia, il triplo della Sicilia e della Puglia, quasi il doppio della Campania. Nel secondo dopoguerra, attraverso processi migratori interni, le “domestiche” erano donne italiane che dalle regioni del Mezzogiorno (ma non solo) si trasferivano nei grandi centri urbani del Centro-Nord per soddisfare la domanda di lavoro domestico, spesso nella forma della co-residenza. Una sorta di “specializzazione etnica” privilegiava l’impiego di domestiche provenienti dalla Sardegna nelle grandi città come Milano, Roma, Torino, in cui i processi di emigrazione interna avevano già formato nutrite comunità di sardi. La Sardegna può essere un caso di studio interessante sotto diversi profili: a) ha avuto una tradizione di lavoro domestico femminile che ha rappresentato per decenni non solo una condizione servile e di estremo sfruttamento ma anche, nel secondo dopoguerra, un percorso di emancipazione, di mobilità e di riscatto sociale (Oppo 1983, Mameli 2015). b) È la regione italiana che presenta la quota più elevata di donne occupate nel lavoro domestico (quasi il 14 per cento dell’occupazione femminile della regione, secondo i dati INPS). c) Da una decina d’anni le politiche sociali della Regione Sardegna destinano ingenti finanziamenti pubblici all’assistenza in famiglia delle persone anziane e non autosufficienti, con l’obiettivo di favorire il rientro in famiglia di persone inserite in strutture sociali e/o sanitarie o promuovendone la de-istituzionalizzazione e la permanenza nel proprio domicilio; in particolare, il programma “Ritornare a casa” (L. R. n. 4/2006, comma 1 art. 17) promuove progetti personalizzati e prevede trasferimenti annuali alle famiglie per coprire parte dei costi dell’assistenza a domicilio delle persone anziane e non autosufficienti. Tali provvedimenti hanno senz’altro aumentato il ricorso delle famiglie alle assistenti familiari (badanti), in larga parte autoctone (l’INPS individua nell’Isola quasi 20mila badanti italiane contro meno di 6.500 straniere). d) Nel corso della lunga crisi economica degli ultimi anni, l’occupazione femminile in Sardegna è cresciuta in misura sorprendente – compensando parzialmente il crollo dell’occupazione maschile nell’industria e in edilizia – attraverso l’impiego di un numero consistente di donne adulte nei lavori poco qualificati di “addetto ai servizi di pulizia, igienici, di lavanderia ed assimilati” e come “personale non qualificato addetto ai servizi domestici”. Le donne occupate in questi servizi sono raddoppiate, per oltre la metà hanno almeno un diploma e, contrariamente alle regioni del Nord, non sono donne immigrate. Il diffuso aggravamento delle condizioni economiche delle famiglie, ma anche l’importanza che la partecipazione al mercato del lavoro ha assunto – ormai irreversibilmente – nella vita delle donne sarde, ne ha spinto un numero consistente ad occupare spazi di attività in parte sommersa, con uno scarso peso orario e retributivo, nei servizi alla persona non qualificati e nel lavoro domestico, per integrare il reddito familiare diventato insufficiente o del tutto mancante (Pruna 2011). In questo senso, il lavoro domestico rappresenta, per un verso, una persistente segregazione femminile nei lavori di cura ma, per altro verso, potrebbe configurarsi come una strategia di resistenza alla disoccupazione e ancor più all’abbandono del mercato del lavoro. Il paper analizza in primo luogo - attraverso i dati INPS, i dati censuari sulle professioni e i dati dei registri pubblici delle assistenti familiari (istituiti in Sardegna a partire dal 2006 per ogni distretto di PLUS a cura del Comune capofila) - le caratteristiche dell’offerta femminile di lavoro domestico nell’ultimo decennio, con confronti regionali. La domanda di lavoro domestico viene inquadrata nel contesto regionale del mercato del lavoro della Sardegna e delle politiche sociali adottate dalla regione, con l’obiettivo di individuare i meccanismi sociali che hanno favorito la crescita del lavoro domestico retribuito tra le donne sarde e l’aumento dell’occupazione. Riferimenti bibliografici citati Colombo, A. (2003), Razza, genere, classe. Le tre dimensioni del lavoro domestico in Italia, in «Polis», n. 2, pp. 317-342 Colombo, A. (2005), Il mito del lavoro domestico: struttura e cambiamenti in Italia (1970-2003), in «Polis», n. 3, pp. 435-464 Colombo, A. (2009), La sanatoria per le badanti e le colf del 2009: fallimento o esaurimento di un modello? www.fieri.it Coser, L. (1993), Servants: The Obsolescence of an Occupational Role, in «Social Forces», vol. 52, n. 1, pp. 31-40 EPRS European Parliamentary Research Service (2015), Invisible jobs The situation of domestic workers, (http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2015/573874/EPRS_BRI(2015)57 3874_EN.pdf) Eurofound (2015), Upgrading or polarisation? Long-term and global shifts in the employment structure European Jobs Monitor 2015, Luxembourg: Publications Office of the European Union ILO (2013), Domestic workers across the world: Global and regional statistics and the extent of legal protection, Geneva ILO (2015a), ILO global estimates on migrant workers. Results and methodology. Special focus on migrant domestic workers, Geneva ILO (2015b), Il lavoro dignitoso per i lavoratori domestici a cinque anni dall’adozione della Convenzione OIL, Roma Mameli, G. (2015), Le ragazze sono partite, Cagliari, CUEC Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Istat, Inps, Inail, Anpal (2017), Il mercato del lavoro. Verso una lettura integrata (http://www.istat.it/it/archivio/207242) Oppo, A. (1983), “Il lavoro domestico nella società tradizionale”, in Manconi F. (a cura di), Il lavoro dei sardi, Sassari, Gallizzi, pp. 46-54 Pruna, M.L. (a cura di) (2011), Mercato del lavoro in Sardegna. Rapporto 2011, CRSI, Cagliari, Cuec Sarti, R. (2005), Da serva a operaia? Trasformazioni di lungo periodo del servizio domestico in Europa, in «Polis», n. 1, pp. 91-120 Sarti, R. (2014), Historians, Social Scientists, Servants, and Domestic Workers: Fifty Years of Research on Domestic and Care Work, IRSH 59, pp. 279–314

Le donne italiane nel lavoro domestico retribuito: persistenza della segregazione occupazionale e resistenza alla disoccupazione. Il caso della Sardegna

Maria Letizia Pruna
2018-01-01

Abstract

Contro ogni aspettativa e previsione di declino (Coser 1993, Sarti 2005 e 2014), il lavoro domestico retribuito è svolto tuttora da un numero rilevante di lavoratrici in tutto il mondo, e non sembra ridursi. È stato osservato addirittura un ritorno del lavoro domestico (Colombo 2003), seppure con caratteristiche diverse rispetto al passato, di cui la crescente componente migratoria rappresenta senza dubbio il cambiamento più rilevante (Colombo 2005). Si stima che i lavoratori domestici siano 67 milioni nel mondo, per l’80 per cento donne (quasi 54 milioni). Tra questi, i migranti sono 11,5 milioni, di cui 8,5 milioni di donne, e rappresentano il 17 per cento dei lavoratori domestici globali (ILO 2015a). Ciò significa che l’83 per cento degli addetti al servizio domestico sono autoctoni, meglio, autoctone. La crescita inarrestabile e silenziosa del lavoro domestico e le sue trasformazioni su scala globale e nazionale hanno sollecitato l’interesse di studiose e studiosi e delle istituzioni internazionali, che ha portato, fra l’altro, all’approvazione della Convenzione n. 189 del 2011 sul lavoro dignitoso per lavoratori e lavoratrici domestiche da parte della Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). L’Italia è il terzo paese in Europa in termini di incidenza del lavoro domestico, dopo Spagna e Francia (ILO 2013). È il quarto Stato membro dell’OIL e il primo tra gli Stati membri dell’Unione Europea ad aver ratificato la Convenzione n. 189, entrata in vigore il 5 settembre 2013 (ILO 2015b). Nel 2016 in Italia i lavoratori con uno o più rapporti di lavoro domestico registrati all’Inps sono quasi 900 mila, oltre l’85 per cento sono donne e il 73,5 per cento sono stranieri (a loro volta per l’86 per cento donne). I dati dell’Inps non consentono di conoscere la dimensione reale del fenomeno, che sfugge in parte alle rilevazioni statistiche e amministrative a causa delle diffuse condizioni di irregolarità e di vero e proprio sommerso cui è tipicamente esposto. I dati tuttavia confermano senza equivoci che il lavoro domestico è ancora un’occupazione largamente femminile (solo nei paesi Arabi la quota maschile oltrepassa il 40 per cento), che coinvolge in misura crescente donne migranti, ma che in Italia – particolarmente in alcuni territori - non ha mai smesso di attrarre una parte dell’offerta femminile di lavoro autoctona. È proprio su questa componente che si concentra l’attenzione del contributo proposto, con l’obiettivo di fare emergere i meccanismi sociali che spingono forze di lavoro femminili “locali” verso il lavoro domestico, facendone un consolidato bacino occupazionale per donne giovani e adulte, soprattutto in alcuni territori, malgrado il generale innalzamento dei livelli di istruzione femminile e la concorrenza di un’offerta di lavoro immigrata a basso costo e con ampie disponibilità in termini di tempo e di co-residenza. Le donne italiane occupate regolarmente nel servizio domestico sono quasi 200mila (fonte INPS), in costante crescita, e rappresentano il 26 per cento delle lavoratrici domestiche totali. Negli ultimi dieci anni, in quasi tutte le regioni il numero delle donne italiane occupate nel lavoro domestico è aumentato, mentre sembra ridursi negli ultimi due anni il numero delle lavoratrici domestiche straniere, dopo avere toccato il picco nel 2012 in seguito all’ultima serie di provvedimenti in materia di emersione del lavoro immigrato e irregolare (Colombo 2009). La quota più elevata di lavoratrici domestiche autoctone è in Sardegna, dove i dati INPS rilevano il 16,3 per cento delle lavoratrici domestiche italiane. Sono 32.288, quasi diecimila in più che in Lombardia, il triplo della Sicilia e della Puglia, quasi il doppio della Campania. Nel secondo dopoguerra, attraverso processi migratori interni, le “domestiche” erano donne italiane che dalle regioni del Mezzogiorno (ma non solo) si trasferivano nei grandi centri urbani del Centro-Nord per soddisfare la domanda di lavoro domestico, spesso nella forma della co-residenza. Una sorta di “specializzazione etnica” privilegiava l’impiego di domestiche provenienti dalla Sardegna nelle grandi città come Milano, Roma, Torino, in cui i processi di emigrazione interna avevano già formato nutrite comunità di sardi. La Sardegna può essere un caso di studio interessante sotto diversi profili: a) ha avuto una tradizione di lavoro domestico femminile che ha rappresentato per decenni non solo una condizione servile e di estremo sfruttamento ma anche, nel secondo dopoguerra, un percorso di emancipazione, di mobilità e di riscatto sociale (Oppo 1983, Mameli 2015). b) È la regione italiana che presenta la quota più elevata di donne occupate nel lavoro domestico (quasi il 14 per cento dell’occupazione femminile della regione, secondo i dati INPS). c) Da una decina d’anni le politiche sociali della Regione Sardegna destinano ingenti finanziamenti pubblici all’assistenza in famiglia delle persone anziane e non autosufficienti, con l’obiettivo di favorire il rientro in famiglia di persone inserite in strutture sociali e/o sanitarie o promuovendone la de-istituzionalizzazione e la permanenza nel proprio domicilio; in particolare, il programma “Ritornare a casa” (L. R. n. 4/2006, comma 1 art. 17) promuove progetti personalizzati e prevede trasferimenti annuali alle famiglie per coprire parte dei costi dell’assistenza a domicilio delle persone anziane e non autosufficienti. Tali provvedimenti hanno senz’altro aumentato il ricorso delle famiglie alle assistenti familiari (badanti), in larga parte autoctone (l’INPS individua nell’Isola quasi 20mila badanti italiane contro meno di 6.500 straniere). d) Nel corso della lunga crisi economica degli ultimi anni, l’occupazione femminile in Sardegna è cresciuta in misura sorprendente – compensando parzialmente il crollo dell’occupazione maschile nell’industria e in edilizia – attraverso l’impiego di un numero consistente di donne adulte nei lavori poco qualificati di “addetto ai servizi di pulizia, igienici, di lavanderia ed assimilati” e come “personale non qualificato addetto ai servizi domestici”. Le donne occupate in questi servizi sono raddoppiate, per oltre la metà hanno almeno un diploma e, contrariamente alle regioni del Nord, non sono donne immigrate. Il diffuso aggravamento delle condizioni economiche delle famiglie, ma anche l’importanza che la partecipazione al mercato del lavoro ha assunto – ormai irreversibilmente – nella vita delle donne sarde, ne ha spinto un numero consistente ad occupare spazi di attività in parte sommersa, con uno scarso peso orario e retributivo, nei servizi alla persona non qualificati e nel lavoro domestico, per integrare il reddito familiare diventato insufficiente o del tutto mancante (Pruna 2011). In questo senso, il lavoro domestico rappresenta, per un verso, una persistente segregazione femminile nei lavori di cura ma, per altro verso, potrebbe configurarsi come una strategia di resistenza alla disoccupazione e ancor più all’abbandono del mercato del lavoro. Il paper analizza in primo luogo - attraverso i dati INPS, i dati censuari sulle professioni e i dati dei registri pubblici delle assistenti familiari (istituiti in Sardegna a partire dal 2006 per ogni distretto di PLUS a cura del Comune capofila) - le caratteristiche dell’offerta femminile di lavoro domestico nell’ultimo decennio, con confronti regionali. La domanda di lavoro domestico viene inquadrata nel contesto regionale del mercato del lavoro della Sardegna e delle politiche sociali adottate dalla regione, con l’obiettivo di individuare i meccanismi sociali che hanno favorito la crescita del lavoro domestico retribuito tra le donne sarde e l’aumento dell’occupazione. Riferimenti bibliografici citati Colombo, A. (2003), Razza, genere, classe. Le tre dimensioni del lavoro domestico in Italia, in «Polis», n. 2, pp. 317-342 Colombo, A. (2005), Il mito del lavoro domestico: struttura e cambiamenti in Italia (1970-2003), in «Polis», n. 3, pp. 435-464 Colombo, A. (2009), La sanatoria per le badanti e le colf del 2009: fallimento o esaurimento di un modello? www.fieri.it Coser, L. (1993), Servants: The Obsolescence of an Occupational Role, in «Social Forces», vol. 52, n. 1, pp. 31-40 EPRS European Parliamentary Research Service (2015), Invisible jobs The situation of domestic workers, (http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2015/573874/EPRS_BRI(2015)57 3874_EN.pdf) Eurofound (2015), Upgrading or polarisation? Long-term and global shifts in the employment structure European Jobs Monitor 2015, Luxembourg: Publications Office of the European Union ILO (2013), Domestic workers across the world: Global and regional statistics and the extent of legal protection, Geneva ILO (2015a), ILO global estimates on migrant workers. Results and methodology. Special focus on migrant domestic workers, Geneva ILO (2015b), Il lavoro dignitoso per i lavoratori domestici a cinque anni dall’adozione della Convenzione OIL, Roma Mameli, G. (2015), Le ragazze sono partite, Cagliari, CUEC Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Istat, Inps, Inail, Anpal (2017), Il mercato del lavoro. Verso una lettura integrata (http://www.istat.it/it/archivio/207242) Oppo, A. (1983), “Il lavoro domestico nella società tradizionale”, in Manconi F. (a cura di), Il lavoro dei sardi, Sassari, Gallizzi, pp. 46-54 Pruna, M.L. (a cura di) (2011), Mercato del lavoro in Sardegna. Rapporto 2011, CRSI, Cagliari, Cuec Sarti, R. (2005), Da serva a operaia? Trasformazioni di lungo periodo del servizio domestico in Europa, in «Polis», n. 1, pp. 91-120 Sarti, R. (2014), Historians, Social Scientists, Servants, and Domestic Workers: Fifty Years of Research on Domestic and Care Work, IRSH 59, pp. 279–314
2018
Lavoro di cura; Occupazione femminile; Segregazione occupazionale
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