Il nostro Paese ha vissuto una stagione di tentativi di riforma dell’articolazione amministrativa istituzionale e territoriale sulla base di alcuni assunti (scarsa produttività delle catene legislativa ed esecutiva, sovradimensionamento dei livelli amministrativi, inefficienza degli enti sottordinati di piccole dimensioni relativamente alla popolazione, anche se non necessariamente quanto a superficie) che scaturiscono più da posizioni pregiudiziali ed ideologiche che da effettiva aderenza ai dati. Di fatto l’introduzione di nuove forme e modalità di gestione politica dei territori (unioni di comuni, città metropolitane, elezioni di secondo grado) che promettevano di accrescere l’efficienza del sistema, anche in Sardegna, si è di fatto tradotto nell’allontanamento dei luoghi dell’esercizio del potere dai cittadini, nel taglio delle risorse alle funzioni di rango inferiore che meno incidevano proporzionalmente sui bilanci di Stato e Regioni, e in definitiva nel restringimento degli spazi di esercizio della democrazia. L’esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 ha interrotto l’evoluzione del processo ma non ancora smantellato gli esiti già conseguiti. Buona parte della sovranità anche di quelle regioni, come la Sardegna, che per storia e identità hanno rivendicato e ottenuto significativi spazi di autonomia, è stata trasferita ai livelli sovraordinati: all’Unione Europea quella dello Stato, a Roma quella delle regioni e a queste ultime quella delle provincie, quella dei comuni alle unioni, con buona pace del principio di sussidiarietà. L’esito del referendum ha lasciato nel limbo queste ultime che sopravvivono svuotate di funzioni, fondi e personale con mancato trasferimento di competenze e quindi di fatto, con numerose inadempienze e conseguenti riflessi negativi concreti sul territorio.

Riforme degli enti locali in Sardegna: strategie di potere sui territori

Cau Luciano
2019-01-01

Abstract

Il nostro Paese ha vissuto una stagione di tentativi di riforma dell’articolazione amministrativa istituzionale e territoriale sulla base di alcuni assunti (scarsa produttività delle catene legislativa ed esecutiva, sovradimensionamento dei livelli amministrativi, inefficienza degli enti sottordinati di piccole dimensioni relativamente alla popolazione, anche se non necessariamente quanto a superficie) che scaturiscono più da posizioni pregiudiziali ed ideologiche che da effettiva aderenza ai dati. Di fatto l’introduzione di nuove forme e modalità di gestione politica dei territori (unioni di comuni, città metropolitane, elezioni di secondo grado) che promettevano di accrescere l’efficienza del sistema, anche in Sardegna, si è di fatto tradotto nell’allontanamento dei luoghi dell’esercizio del potere dai cittadini, nel taglio delle risorse alle funzioni di rango inferiore che meno incidevano proporzionalmente sui bilanci di Stato e Regioni, e in definitiva nel restringimento degli spazi di esercizio della democrazia. L’esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 ha interrotto l’evoluzione del processo ma non ancora smantellato gli esiti già conseguiti. Buona parte della sovranità anche di quelle regioni, come la Sardegna, che per storia e identità hanno rivendicato e ottenuto significativi spazi di autonomia, è stata trasferita ai livelli sovraordinati: all’Unione Europea quella dello Stato, a Roma quella delle regioni e a queste ultime quella delle provincie, quella dei comuni alle unioni, con buona pace del principio di sussidiarietà. L’esito del referendum ha lasciato nel limbo queste ultime che sopravvivono svuotate di funzioni, fondi e personale con mancato trasferimento di competenze e quindi di fatto, con numerose inadempienze e conseguenti riflessi negativi concreti sul territorio.
2019
9788891781390
Geografia politica; Geopolitica interna; Sardegna
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