Lo stato in cui versa la specialità oggi mette seriamente in crisi le giustificazioni storiche, economiche e linguistiche che hanno reso costituzionalmente accettabile la specialità in passato. A dieci anni di distanza dalla riforma del Titolo V si assiste, infatti, a una sistematica assenza delle Regioni speciali nell’adempiere al dovere (costituzionale) di darsi nuovi statuti e, quindi, di dare significato alla loro specialità intesa come differenza. A ciò si aggiunga che il meccanismo dell’adeguamento automatico alla maggiore autonomia concessa alle Regioni a Statuto ordinario (dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001) ha funzionato in modo intermittente, aumentando in maniera esponenziale la separatezza delle Regioni speciali all’interno di un sistema di autonomia privo di qualunque certezza. L’incertezza è talmente diffusa che porta a domandarsi se non sia, in realtà, voluta dalle regioni speciali per mantenere quello che è da alcuni è considerato un privilegio finanziario. Abbiamo una serie di evidenze che ci inducono a ritenere necessario superare l’attuale stallo. La prima evidenza è l’assoluta frammentarietà nell’approvazione di nuovi Statuti e, di conseguenza, la mancata possibilità di verificare se le Regioni a Statuto speciale hanno dato seguito alle prerogative che consentivano loro di valorizzare la differenza. Inoltre la possibilità di darsi una forma organizzativa costruita sulla propria specialità ha oscillato, infatti, tra l’approvazione di singole leggi statutarie (ad esempio Friuli-Venezia Giulia) e l’abbandono di leggi statutarie che, anche se per un breve periodo, sono state in vigore (si veda il caso della Sardegna). Manca a oggi una prospettiva di valorizzazione dell’autonomia speciale collegata all’approvazione delle leggi statutarie. Tali strumenti avrebbero dovuto, nelle intenzioni del legislatore, porre le Regioni speciali nelle condizioni di realizzare in concreto la riforma della forma di governo e, di conseguenza, le ragioni speciali di differenziazione. Ciò non è accaduto e le ragioni speciali si sono limitate a mantenere il modello a elezione a suffragio diretto e immediato del Presidente della Regione
Autonomie speciali e principio di differenziazione
DEMURO, GIANMARIO
2011-01-01
Abstract
Lo stato in cui versa la specialità oggi mette seriamente in crisi le giustificazioni storiche, economiche e linguistiche che hanno reso costituzionalmente accettabile la specialità in passato. A dieci anni di distanza dalla riforma del Titolo V si assiste, infatti, a una sistematica assenza delle Regioni speciali nell’adempiere al dovere (costituzionale) di darsi nuovi statuti e, quindi, di dare significato alla loro specialità intesa come differenza. A ciò si aggiunga che il meccanismo dell’adeguamento automatico alla maggiore autonomia concessa alle Regioni a Statuto ordinario (dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001) ha funzionato in modo intermittente, aumentando in maniera esponenziale la separatezza delle Regioni speciali all’interno di un sistema di autonomia privo di qualunque certezza. L’incertezza è talmente diffusa che porta a domandarsi se non sia, in realtà, voluta dalle regioni speciali per mantenere quello che è da alcuni è considerato un privilegio finanziario. Abbiamo una serie di evidenze che ci inducono a ritenere necessario superare l’attuale stallo. La prima evidenza è l’assoluta frammentarietà nell’approvazione di nuovi Statuti e, di conseguenza, la mancata possibilità di verificare se le Regioni a Statuto speciale hanno dato seguito alle prerogative che consentivano loro di valorizzare la differenza. Inoltre la possibilità di darsi una forma organizzativa costruita sulla propria specialità ha oscillato, infatti, tra l’approvazione di singole leggi statutarie (ad esempio Friuli-Venezia Giulia) e l’abbandono di leggi statutarie che, anche se per un breve periodo, sono state in vigore (si veda il caso della Sardegna). Manca a oggi una prospettiva di valorizzazione dell’autonomia speciale collegata all’approvazione delle leggi statutarie. Tali strumenti avrebbero dovuto, nelle intenzioni del legislatore, porre le Regioni speciali nelle condizioni di realizzare in concreto la riforma della forma di governo e, di conseguenza, le ragioni speciali di differenziazione. Ciò non è accaduto e le ragioni speciali si sono limitate a mantenere il modello a elezione a suffragio diretto e immediato del Presidente della RegioneI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.