Singling out the place where rules apply: materials from the discussion on Pāṇini’s description of substitution

This paper aims at taking Pāṇini’s substitution descriptive method out of its supposed limited domain of allomorphy (Kiparsky 2009: 86), to show that it is rather part of a broader conceptualization of linguistic units in spatial terms, i.e. as “places” where “things” i.e. linguistic phenomena described by rules, happen (following the lead indicated by Kahrs (1998: 184)). In particular, while discussing on the thirteen doṣavārttikas (vts. 18–30) on A. 1.1.56, by mainly relying on the textual dimension of the Aṣṭādhyāyī and on the usus scribendi of the author, we advanced that Pāṇini's linguistic units are not endowed with a mandatory fixed status, a misunderstanding which instead prevented ancient and modern interpreters (e.g. Joshi and Roodbergen 1985, 1990) from solving these supposed shortcomings in the mechanism of substitution. On the contrary, he might have envisioned the different units as scalar categories, whose prototypes were verbal bases and affixes on the one hand and the single meaningless phoneme on the other. Consistently, Pāṇini's explicit classification of rules again is not abstract and functional but based upon the explicit mention of a relevant linguistic “place” and the way in which it is, each time, described: Pāṇini's strategy encompasses both devices to shift the status of a linguistic unit from phone to morph and vice versa.

Il presente contributo si propone di sottrarre il metodo descrittivo sostitutivo di Pāṇini al suo presunto dominio limitato all'allomorfia (Kiparsky 2009: 86), per mostrare che esso fa piuttosto parte di una più ampia concettualizzazione delle unità linguistiche in termini spaziali, ossia come “luoghi” in cui accadono “cose”, cioè fenomeni linguistici descritti da regole (seguendo la traccia indicata da Kahrs (1998: 184)). In particolare, discutendo dei tredici doṣavārttika (vv. 18-30) di A. 1.1.56, basandoci principalmente sulla dimensione testuale dell'Aṣṭādhyāyī e sull'usus scribendi dell'autore, abbiamo sostenuto che le unità linguistiche di Pāṇini non sono dotate di uno status fisso obbligatorio, un equivoco che invece ha impedito a interpreti antichi e moderni (ad es. Joshi e Roodbergen 1985, 1990) di risolvere queste presunte lacune del meccanismo di sostituzione. Al contrario, egli avrebbe potuto immaginare le diverse unità come categorie scalari, i cui prototipi erano le basi verbali e gli affissi da un lato e il singolo fonema privo di significato dall'altro. Coerentemente, anche in questo caso la classificazione esplicita delle regole di Pāṇini non è astratta e funzionale, ma si basa sulla menzione esplicita di un “luogo” linguistico rilevante e sul modo in cui esso viene, di volta in volta, descritto: La strategia di Pāṇini comprende entrambi i dispositivi per spostare lo status di un'unità linguistica da fono a morfo e viceversa.