L’ A. ha scritto questo saggio a seguito dell’invito ricevuto della Società italiana per la Storia dell’età Moderna (Sisem) e dalla Fundación Española de Historia moderna (FEHM) ad intervenire su tale tema per celebrare il Primo Incontro Internazionale fra gli storici italiani e spagnoli. Nel corso del Convegno, edito successivamente dalla casa editrice Viella, i relatori designati dalla Sisem e dalla FEHM si sono confrontati su alcuni dei più recenti temi chiave del dibattito storiografico europeo: il governo locale e le identità urbane, i consumi, gli stili di vita aristocratici, il controllo delle coscienze, la circolazione dei libri e dei saperi, la storia di genere. Nell’introdurre la tematica conflitto/mediazione, conflitto/diplomazia l’A. ha posto in rilievo la svolta storiografica che ha caratterizzato quest’ultimo ventennio. Lo studio delle identità culturali, delle fedeltà plurime, degli interessi personali, dei rapporti contrattuali fra ceti, ordini e istituzioni, ha rimesso in discussione non solo il concetto di stato e di moderno ma anche quello dei suoi confini interni ed esterni, dello spazio fisico di appartenenza, dei diritti di cittadinanza. I nuovi orientamenti di ricerca, avviati da alcuni significativi saggi di Pierangelo Schiera, Giorgio Chittolini, Elena Fasano Guarini, nei quali gli autori invitavano a considerare gli stati italiani della prima Età moderna come un «coerente sistema di potere regionale entro cui le comunità continuano a sopravvivere con funzioni proprie e autonomie fondate su una durevole base contrattuale» hanno favorito una rilettura complessiva delle vicenda Cinquecentesca. In questi studi innovativi il Principe è stato posto al centro di una struttura statuale ibrida e complessa in cui egli esercitava funzioni di governo e di controllo, utilizzando come canali di consenso i ceti sociali più influenti e rappresentativi a livello territoriale. L’ A. sottolinea il fatto che nelle ricerche su tali realtà statuali siano state non a caso privilegiate le rappresentanze sociali comunitarie e corporative, le fazioni e i partiti che le animavano e le innervavano con la loro azione. I risultati di queste indagini hanno portato ad una riconsiderazione della lotta politica in Italia e delle strategie diplomatiche attivate dai Principati per difendere il proprio stato. Patronage e clientelismo sono apparse categorie interdipendenti, in grado di spiegare non solo la lotta tra le fazioni nobiliari che si contendevano il favore del proprio signore ma anche utili strumenti per dipanare la rete dei rapporti tra centro e periferia, le strategie dinastiche, gli orientamenti della politica interna e internazionale, la difesa dei confini territoriali visti alla luce delle idee, dei valori, delle convinzioni degli uomini che gestivano gli apparati amministrativi e di governo dello Stato rinascimentale. Unitamente alle frontiere esterne queste ricerche hanno evidenziato l’esistenza di cesure interne, materiali e immateriali, nate dall’accorpamento di istituzioni feudali o comunitarie, urbane o signorili, dalla pluralità di diritti e di giurisdizioni che non solo separavano i sudditi in mondi giuridici, amministrativi, religiosi differenti ma erano anche fonte continua di conflitti e di tensioni. Nell’Italia della prima Età moderna la “conservazione dello stato”, obiettivo primario del Principe, implicava dunque non solo la difesa militare dei confini esterni ma anche la salvaguardia di quelli interni dall’azione di ceti, ordini, istituzioni. La pluralità istituzionale e identitaria rendeva problematica la fedeltà al Principe da parte di gruppi, fazioni, comunità che controllavano il territorio e ne difendevano i confini e che, per tutelare i loro interessi, alimentavano complotti e congiure. Pur divisa in stati regionali, con organizzazioni interne differenti, l’Italia della prima Età moderna appare comunque caratterizzata, (Galasso) da uno spazio politico e culturale omogeneo in cui l’instabilità interna ed esterna costituisce uno dei tratti dominanti. Come evidenzia Elena Fasano in un suo recente saggio, il tema delle frontiere, nella sua dialettica di staticità e mobilità, costituisce un paradigma storiografico significativo perché esso, garantendo anche ai piccoli stati (pur tra periodiche revisioni ereditarie e dinastiche) certezza di confini e di diritti, consente di cogliere in maniera puntuale i caratteri specifici e peculiari degli assetti politico-istituzionali che si affermano nella penisola italiana nel corso del Cinquecento e che si consolidano nei secoli successivi, a seguito del declino della Spagna. La posizione degli Stati tende così a manifestarsi, sul piano territoriale, come una realtà sempre più definita e distinta, con una propria identità politico-istituzionale. Il che, pur alimentando tensioni e conflitti con le realtà statuali limitrofe e con quei Principati e regni che accarezzano mire egemoniche (come testimoniano le relazioni degli ambasciatori che vanno spesso al di là dei singoli avvenimenti e delle pratiche di negoziazione) favorisce il consolidamento di rapporti politici e diplomatici intensi tra tutti gli stati italiani. gettano nuova luce sulla “tenuta” del sistema spagnolo in Italia, sulle forme di governo dei territori, la composizione dei conflitti insorti tra le fazioni, la concessione di uffici, grazie a favori, il rafforzamento di identità e appartenenze (Musi, Spagnoletti, Hernando Sánchez, Rivero Rodríguez e Visceglia) A sconvolgere, ridisegnare e ricomporre la geografia politico-istituzionale degli Stati italiani saranno le guerre dinastiche scatenatesi per la successione al trono spagnolo a seguito della morte senza eredi del re Carlo II. Esse vedranno contrapposte le maggiori potenze europee. In questo complesso scenario internazionale gli Stati italiani svolgeranno un ruolo del tutto secondario e marginale. In Italia, la guerra pose fine ad un secolare periodo di schermaglie signorili e ritualità cortigiane e aprì una stagione di rapidi mutamenti. I trattati di Utrecht e di Rastadt sancirono un nuovo equilibrio europeo. La sostituzione dell’egemonia spagnola con quella austriaca sui domini italiani e l’affermazione definitiva della supremazia marittima e commerciale inglese saranno i risultati più significativi della guerra di successione spagnola. Per quel che si riferisce alle relazioni tra gli stati, gli esiti del conflitto contribuiranno alla mutua accettazione della dottrina del l’equilibrio tra le potenze da difendere contro ogni progetto egemonico, con gli strumenti della diplomazia e delle alleanze militari.
Conflitti e diplomazia: la difesa dei confini
TORE, GIANFRANCO
2009-01-01
Abstract
L’ A. ha scritto questo saggio a seguito dell’invito ricevuto della Società italiana per la Storia dell’età Moderna (Sisem) e dalla Fundación Española de Historia moderna (FEHM) ad intervenire su tale tema per celebrare il Primo Incontro Internazionale fra gli storici italiani e spagnoli. Nel corso del Convegno, edito successivamente dalla casa editrice Viella, i relatori designati dalla Sisem e dalla FEHM si sono confrontati su alcuni dei più recenti temi chiave del dibattito storiografico europeo: il governo locale e le identità urbane, i consumi, gli stili di vita aristocratici, il controllo delle coscienze, la circolazione dei libri e dei saperi, la storia di genere. Nell’introdurre la tematica conflitto/mediazione, conflitto/diplomazia l’A. ha posto in rilievo la svolta storiografica che ha caratterizzato quest’ultimo ventennio. Lo studio delle identità culturali, delle fedeltà plurime, degli interessi personali, dei rapporti contrattuali fra ceti, ordini e istituzioni, ha rimesso in discussione non solo il concetto di stato e di moderno ma anche quello dei suoi confini interni ed esterni, dello spazio fisico di appartenenza, dei diritti di cittadinanza. I nuovi orientamenti di ricerca, avviati da alcuni significativi saggi di Pierangelo Schiera, Giorgio Chittolini, Elena Fasano Guarini, nei quali gli autori invitavano a considerare gli stati italiani della prima Età moderna come un «coerente sistema di potere regionale entro cui le comunità continuano a sopravvivere con funzioni proprie e autonomie fondate su una durevole base contrattuale» hanno favorito una rilettura complessiva delle vicenda Cinquecentesca. In questi studi innovativi il Principe è stato posto al centro di una struttura statuale ibrida e complessa in cui egli esercitava funzioni di governo e di controllo, utilizzando come canali di consenso i ceti sociali più influenti e rappresentativi a livello territoriale. L’ A. sottolinea il fatto che nelle ricerche su tali realtà statuali siano state non a caso privilegiate le rappresentanze sociali comunitarie e corporative, le fazioni e i partiti che le animavano e le innervavano con la loro azione. I risultati di queste indagini hanno portato ad una riconsiderazione della lotta politica in Italia e delle strategie diplomatiche attivate dai Principati per difendere il proprio stato. Patronage e clientelismo sono apparse categorie interdipendenti, in grado di spiegare non solo la lotta tra le fazioni nobiliari che si contendevano il favore del proprio signore ma anche utili strumenti per dipanare la rete dei rapporti tra centro e periferia, le strategie dinastiche, gli orientamenti della politica interna e internazionale, la difesa dei confini territoriali visti alla luce delle idee, dei valori, delle convinzioni degli uomini che gestivano gli apparati amministrativi e di governo dello Stato rinascimentale. Unitamente alle frontiere esterne queste ricerche hanno evidenziato l’esistenza di cesure interne, materiali e immateriali, nate dall’accorpamento di istituzioni feudali o comunitarie, urbane o signorili, dalla pluralità di diritti e di giurisdizioni che non solo separavano i sudditi in mondi giuridici, amministrativi, religiosi differenti ma erano anche fonte continua di conflitti e di tensioni. Nell’Italia della prima Età moderna la “conservazione dello stato”, obiettivo primario del Principe, implicava dunque non solo la difesa militare dei confini esterni ma anche la salvaguardia di quelli interni dall’azione di ceti, ordini, istituzioni. La pluralità istituzionale e identitaria rendeva problematica la fedeltà al Principe da parte di gruppi, fazioni, comunità che controllavano il territorio e ne difendevano i confini e che, per tutelare i loro interessi, alimentavano complotti e congiure. Pur divisa in stati regionali, con organizzazioni interne differenti, l’Italia della prima Età moderna appare comunque caratterizzata, (Galasso) da uno spazio politico e culturale omogeneo in cui l’instabilità interna ed esterna costituisce uno dei tratti dominanti. Come evidenzia Elena Fasano in un suo recente saggio, il tema delle frontiere, nella sua dialettica di staticità e mobilità, costituisce un paradigma storiografico significativo perché esso, garantendo anche ai piccoli stati (pur tra periodiche revisioni ereditarie e dinastiche) certezza di confini e di diritti, consente di cogliere in maniera puntuale i caratteri specifici e peculiari degli assetti politico-istituzionali che si affermano nella penisola italiana nel corso del Cinquecento e che si consolidano nei secoli successivi, a seguito del declino della Spagna. La posizione degli Stati tende così a manifestarsi, sul piano territoriale, come una realtà sempre più definita e distinta, con una propria identità politico-istituzionale. Il che, pur alimentando tensioni e conflitti con le realtà statuali limitrofe e con quei Principati e regni che accarezzano mire egemoniche (come testimoniano le relazioni degli ambasciatori che vanno spesso al di là dei singoli avvenimenti e delle pratiche di negoziazione) favorisce il consolidamento di rapporti politici e diplomatici intensi tra tutti gli stati italiani. gettano nuova luce sulla “tenuta” del sistema spagnolo in Italia, sulle forme di governo dei territori, la composizione dei conflitti insorti tra le fazioni, la concessione di uffici, grazie a favori, il rafforzamento di identità e appartenenze (Musi, Spagnoletti, Hernando Sánchez, Rivero Rodríguez e Visceglia) A sconvolgere, ridisegnare e ricomporre la geografia politico-istituzionale degli Stati italiani saranno le guerre dinastiche scatenatesi per la successione al trono spagnolo a seguito della morte senza eredi del re Carlo II. Esse vedranno contrapposte le maggiori potenze europee. In questo complesso scenario internazionale gli Stati italiani svolgeranno un ruolo del tutto secondario e marginale. In Italia, la guerra pose fine ad un secolare periodo di schermaglie signorili e ritualità cortigiane e aprì una stagione di rapidi mutamenti. I trattati di Utrecht e di Rastadt sancirono un nuovo equilibrio europeo. La sostituzione dell’egemonia spagnola con quella austriaca sui domini italiani e l’affermazione definitiva della supremazia marittima e commerciale inglese saranno i risultati più significativi della guerra di successione spagnola. Per quel che si riferisce alle relazioni tra gli stati, gli esiti del conflitto contribuiranno alla mutua accettazione della dottrina del l’equilibrio tra le potenze da difendere contro ogni progetto egemonico, con gli strumenti della diplomazia e delle alleanze militari.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.