Nell’analizzare i rapporti tra monarchia e poteri locali anche la storiografia sui regni d’Aragona ha evidenziato orientamenti divergenti. La interpretazione “catalanista” della riforma a “sach y sort” voluta nel XV secolo da Fernando II inserisce tale provvedimento nel contesto di un processo di accentramento monarchico che nel corso di alcuni secoli avrebbe consentito alla corona di imporre stretti limiti all’autonomia di cui le oligarchie civiche e le élites nobiliari avevano goduto in età medioevale. Sottoposta a serrate critiche essa é andata perdendo progressivamente terreno e nei suoi ultimi epigoni, ha finito col privilegiare una lettura meno ideologica e più attenta alle indicazioni fornite dalle fonti documentarie Di un vero rinnovamento degli studi sulla storia dei rapporti tra oligarchie urbane e corona si può parlare tuttavia solo negli anni ’80 del ‘900 quando, accanto a saggi di carattere politico-istituzionale, iniziano a comparire ricerche sul patriziato, le pratiche di potere, le finalità stesse dello stato moderno . In quegli anni infatti Bartolomé Clavero e Antonio Hespanha, unitamente ad altri studiosi europei, segnalavano le incongruenze insite in una interpretazione dello stato moderno che per spiegare il percorso evolutivo del modello liberale faceva ricorso a paradigmi elaborati nella Germania nazionalsocialista. Per cogliere la dimensione corporativa della organizzazione statuale di antico regime, le proteiformi manifestazioni del potere, i legami tra fazioni, gruppi e reti clientelari i due studiosi richiamavano l’attenzione sull’utilità dei metodi e degli strumenti socio-antropologici invitando a rileggere in questa chiave i rapporti giuridici e politici centro periferia . L’affermarsi di queste nuove tendenze metodologiche ha alimentato una fortunata stagione di studi contribuendo a chiarire aspetti e strategie di gestione del potere anche in ambito urbano. A metà degli anni ’90 era già possibile tracciare un profilo territorialmente differenziato dei rapporti intercorsi tra città e corona nei singoli regni aragonesi. Non potendo mantenere un pletorico corpo burocratico, la corona mirava, per Amelang, a creare strutture amministrative territoriali in grado di esercitare con una certa autonomia poteri territoriali delegati; il vero obiettivo non era dunque quello di imporre una ferrea centralizzazione per sostituire le oligarchie con amministratori più fedeli ma di garantire il governo del territorio . Palos Peñarroya completa questo quadro evidenziando le dinamiche interne al patriziato barcellonese, le sue strategie di ascesa sociale, le tensioni, le forzature, le manipolazioni che la lotta tra le fazioni determina favorendo e sollecitando talvolta la corona ad intervenire per mediare tra opposti interessi . La documentazione che emerge dalle ricerche finora condotte e dagli archivi centrali e periferici degli antichi stati aragonesi evidenzia il permanente rapporto di mediazione svolto dai ceti dirigenti territoriali con i partiti di corte e una stretta interazione tra oligarchie locali e organi della amministrazione regia . Se l’azione di contenimento e di controllo delle élites da parte di Filippo II fa perno sull’istituto della visita quella condotta dai ministri regi nei primi anni di governo di Filippo III si distingue per l’incisivo attacco ai privilegi giurisdizionali dei ceti urbani . Anche le città sarde sembrano seguire questa parabola evolutiva. Menomate dei loro statuti medioevali e private di alcune importanti immunità giuridiche, alle prese con bilanci deficitari, nel primo decennio del Seicento esse non riescono ad ottenere dalla corona neppure privilegi fiscali con i quali ripianare gli interessi sui debiti. Durante il regno di Filippo III la monarchia, pur sospendendo o limitando il campo di applicazione di diverse norme statutarie, riesce comunque a controllare il malcontento che serpeggia tra le oligarchie civiche concedendo loro promozioni ed onori che vengono, di solito, riservati ai rappresentanti delle fazioni familiari più influenti. Nella prima metà del secolo XVII, per piegare le resistenze cetuali viceré e ministri utilizzano politicamente anche le secolari rivalità esistenti tra Cagliari e Sassari e tra queste ultime e le città minori. Se agli inizi del regno di Filippo III la presenza e le intromissioni del viceré e dei giudici della Reale Udienza negli affari interni delle amministrazioni civiche destano ancora scandalo e vengono giustificate dalla corona con esigenze di carattere straordinario determinate da sospetti di malversazioni, dal forte deficit dei bilanci o dalla necessità di rivedere periodicamente le liste degli insaccolandi dopo quarant’anni di governo dei due valídos il potere di controllo delle magistrature regie sulle amministrazioni civiche appare ormai una routine definitivamente consolidata. Essa tuttavia, pur delimitando il raggio di azione delle forze politiche locali, non sembra ledere gli spazi di autonomia che la corona ha riservato da secoli alle oligarchie civiche trasformando i consigli di città in organi amministrativi locali dipendenti dalla corona. Il decreto di Nueva Planta, introdotto anche in Sardegna negli ultimi mesi di dominio ispanico, conferma dunque, sul piano giuridico e amministrativo, una situazione di stretta integrazione tra strutture territoriali urbane e corona che da più di mezzo secolo é già diventata prassi burocratica corrente in tutti i regni della Corona d’ Aragona.

Città, oligarchie e corona nel regno di Sardegna (XVI-XVII)

TORE, GIANFRANCO
2008-01-01

Abstract

Nell’analizzare i rapporti tra monarchia e poteri locali anche la storiografia sui regni d’Aragona ha evidenziato orientamenti divergenti. La interpretazione “catalanista” della riforma a “sach y sort” voluta nel XV secolo da Fernando II inserisce tale provvedimento nel contesto di un processo di accentramento monarchico che nel corso di alcuni secoli avrebbe consentito alla corona di imporre stretti limiti all’autonomia di cui le oligarchie civiche e le élites nobiliari avevano goduto in età medioevale. Sottoposta a serrate critiche essa é andata perdendo progressivamente terreno e nei suoi ultimi epigoni, ha finito col privilegiare una lettura meno ideologica e più attenta alle indicazioni fornite dalle fonti documentarie Di un vero rinnovamento degli studi sulla storia dei rapporti tra oligarchie urbane e corona si può parlare tuttavia solo negli anni ’80 del ‘900 quando, accanto a saggi di carattere politico-istituzionale, iniziano a comparire ricerche sul patriziato, le pratiche di potere, le finalità stesse dello stato moderno . In quegli anni infatti Bartolomé Clavero e Antonio Hespanha, unitamente ad altri studiosi europei, segnalavano le incongruenze insite in una interpretazione dello stato moderno che per spiegare il percorso evolutivo del modello liberale faceva ricorso a paradigmi elaborati nella Germania nazionalsocialista. Per cogliere la dimensione corporativa della organizzazione statuale di antico regime, le proteiformi manifestazioni del potere, i legami tra fazioni, gruppi e reti clientelari i due studiosi richiamavano l’attenzione sull’utilità dei metodi e degli strumenti socio-antropologici invitando a rileggere in questa chiave i rapporti giuridici e politici centro periferia . L’affermarsi di queste nuove tendenze metodologiche ha alimentato una fortunata stagione di studi contribuendo a chiarire aspetti e strategie di gestione del potere anche in ambito urbano. A metà degli anni ’90 era già possibile tracciare un profilo territorialmente differenziato dei rapporti intercorsi tra città e corona nei singoli regni aragonesi. Non potendo mantenere un pletorico corpo burocratico, la corona mirava, per Amelang, a creare strutture amministrative territoriali in grado di esercitare con una certa autonomia poteri territoriali delegati; il vero obiettivo non era dunque quello di imporre una ferrea centralizzazione per sostituire le oligarchie con amministratori più fedeli ma di garantire il governo del territorio . Palos Peñarroya completa questo quadro evidenziando le dinamiche interne al patriziato barcellonese, le sue strategie di ascesa sociale, le tensioni, le forzature, le manipolazioni che la lotta tra le fazioni determina favorendo e sollecitando talvolta la corona ad intervenire per mediare tra opposti interessi . La documentazione che emerge dalle ricerche finora condotte e dagli archivi centrali e periferici degli antichi stati aragonesi evidenzia il permanente rapporto di mediazione svolto dai ceti dirigenti territoriali con i partiti di corte e una stretta interazione tra oligarchie locali e organi della amministrazione regia . Se l’azione di contenimento e di controllo delle élites da parte di Filippo II fa perno sull’istituto della visita quella condotta dai ministri regi nei primi anni di governo di Filippo III si distingue per l’incisivo attacco ai privilegi giurisdizionali dei ceti urbani . Anche le città sarde sembrano seguire questa parabola evolutiva. Menomate dei loro statuti medioevali e private di alcune importanti immunità giuridiche, alle prese con bilanci deficitari, nel primo decennio del Seicento esse non riescono ad ottenere dalla corona neppure privilegi fiscali con i quali ripianare gli interessi sui debiti. Durante il regno di Filippo III la monarchia, pur sospendendo o limitando il campo di applicazione di diverse norme statutarie, riesce comunque a controllare il malcontento che serpeggia tra le oligarchie civiche concedendo loro promozioni ed onori che vengono, di solito, riservati ai rappresentanti delle fazioni familiari più influenti. Nella prima metà del secolo XVII, per piegare le resistenze cetuali viceré e ministri utilizzano politicamente anche le secolari rivalità esistenti tra Cagliari e Sassari e tra queste ultime e le città minori. Se agli inizi del regno di Filippo III la presenza e le intromissioni del viceré e dei giudici della Reale Udienza negli affari interni delle amministrazioni civiche destano ancora scandalo e vengono giustificate dalla corona con esigenze di carattere straordinario determinate da sospetti di malversazioni, dal forte deficit dei bilanci o dalla necessità di rivedere periodicamente le liste degli insaccolandi dopo quarant’anni di governo dei due valídos il potere di controllo delle magistrature regie sulle amministrazioni civiche appare ormai una routine definitivamente consolidata. Essa tuttavia, pur delimitando il raggio di azione delle forze politiche locali, non sembra ledere gli spazi di autonomia che la corona ha riservato da secoli alle oligarchie civiche trasformando i consigli di città in organi amministrativi locali dipendenti dalla corona. Il decreto di Nueva Planta, introdotto anche in Sardegna negli ultimi mesi di dominio ispanico, conferma dunque, sul piano giuridico e amministrativo, una situazione di stretta integrazione tra strutture territoriali urbane e corona che da più di mezzo secolo é già diventata prassi burocratica corrente in tutti i regni della Corona d’ Aragona.
2008
9788437070926
parlamenti-Città- Monarchia
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