Nel contesto dell’elaborazione di piani e protocolli internazionali chiamati a promuovere la sostenibilità in materia di “blue economy” e di sviluppo delle zone e delle risorse marine, il contributo propone di interrogarsi sulle potenzialità funzionali degli spazi portuali urbani nell’ottica di un utilizzo pubblico. A partire dalle esperienze di ricerca-azione condotte dalle autrici sul Porto di Genova, adottando una prospettiva comparativa (Badouin et alii, 1997) si propone di considerare il porto come potenziale polo ludico-contemplativo e catalizzatore sociale e turistico per studiare le possibili combinazioni ed ibridazioni con l’attività logistica caratterizzante. Considerato in questa prospettiva, il porto è un territorio in cui non solo si concentrano attività economiche, commerciali, produttive, ma in cui si coagulano anche la trasmissione di saperi, la costruzione e la circolazione di rappresentazioni simboliche e identitarie significative per diversi gruppi sociali (Clemente, 2013). Il contributo si prefigge di sostenere la tesi di una possibile appropriazione pubblica dello spazio portuale, che riposa sul suo inquadramento giuridico-amministrativo sperimentando nuovi modelli di convivenza e di adattamento flessibili, capaci di portare alla luce le forme culturali peculiari di ogni porto. Il riconoscimento dell’opportunità offerta dall’effimero permette di prevedere un’accessibilità nuova ai litorali urbani, non solo con l’obiettivo di ripristinare connessioni con il tessuto urbano preesistenti e oggi perdute, ma instaurandone legittimamente di nuove a beneficio delle comunità abitanti a diverso titolo e con diverse temporalità: dai residenti, ai lavoratori, ai turisti (Clemente e Giovene di Girasole, 2012). Questo approccio consente inoltre di ampliare significativamente il territorio costiero ad oggi considerato utile per un utilizzo pubblico e, coerentemente con gli obiettivi di sostenibilità sottesi alla pianificazione contemporanea, di diminuire così la pressione sulle aree costiere storicamente interessate dai flussi turistici attraverso un’offerta rinnovata, modulabile e in costante aggiornamento (Hein, 2020). In ultimo, la considerazione dei porti come territorio pubblico istituisce contestualmente un superamento teoretico di storiche dicotomie analitiche che oppongono paesaggi urbani e paesaggi naturali, o aree urbane e aree portuali, assumendo criticamente la continuità della dimensione antropica di ogni segmento delle coste italiane nel contesto globale.
Porti ibridi. Per un uso flessibile delle aree costiere urbane
Maria Pina Usai;
2022-01-01
Abstract
Nel contesto dell’elaborazione di piani e protocolli internazionali chiamati a promuovere la sostenibilità in materia di “blue economy” e di sviluppo delle zone e delle risorse marine, il contributo propone di interrogarsi sulle potenzialità funzionali degli spazi portuali urbani nell’ottica di un utilizzo pubblico. A partire dalle esperienze di ricerca-azione condotte dalle autrici sul Porto di Genova, adottando una prospettiva comparativa (Badouin et alii, 1997) si propone di considerare il porto come potenziale polo ludico-contemplativo e catalizzatore sociale e turistico per studiare le possibili combinazioni ed ibridazioni con l’attività logistica caratterizzante. Considerato in questa prospettiva, il porto è un territorio in cui non solo si concentrano attività economiche, commerciali, produttive, ma in cui si coagulano anche la trasmissione di saperi, la costruzione e la circolazione di rappresentazioni simboliche e identitarie significative per diversi gruppi sociali (Clemente, 2013). Il contributo si prefigge di sostenere la tesi di una possibile appropriazione pubblica dello spazio portuale, che riposa sul suo inquadramento giuridico-amministrativo sperimentando nuovi modelli di convivenza e di adattamento flessibili, capaci di portare alla luce le forme culturali peculiari di ogni porto. Il riconoscimento dell’opportunità offerta dall’effimero permette di prevedere un’accessibilità nuova ai litorali urbani, non solo con l’obiettivo di ripristinare connessioni con il tessuto urbano preesistenti e oggi perdute, ma instaurandone legittimamente di nuove a beneficio delle comunità abitanti a diverso titolo e con diverse temporalità: dai residenti, ai lavoratori, ai turisti (Clemente e Giovene di Girasole, 2012). Questo approccio consente inoltre di ampliare significativamente il territorio costiero ad oggi considerato utile per un utilizzo pubblico e, coerentemente con gli obiettivi di sostenibilità sottesi alla pianificazione contemporanea, di diminuire così la pressione sulle aree costiere storicamente interessate dai flussi turistici attraverso un’offerta rinnovata, modulabile e in costante aggiornamento (Hein, 2020). In ultimo, la considerazione dei porti come territorio pubblico istituisce contestualmente un superamento teoretico di storiche dicotomie analitiche che oppongono paesaggi urbani e paesaggi naturali, o aree urbane e aree portuali, assumendo criticamente la continuità della dimensione antropica di ogni segmento delle coste italiane nel contesto globale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.