È diffusa la convinzione che la filologia sia una disciplina erudita, utile per il passato e solo marginalmente per il presente. Questo volume sostiene la tesi opposta e cioè che la filologia sia una disciplina naturale per tutti gli uomini che vogliano darsi conto di sé e della realtà, che vogliano, dunque, praticare l’intelligenza delle cose. Secoli di tradizione hanno collocato la disciplina nei reparti di rianimazione della storia, cioè nei luoghi dove il passato viene sezionato, classificato, riordinato, solo a volte compreso, ma comunque inserito in un rassicurante catalogo. Gli spazi, invece, delle domande e delle sfide del presente sarebbero per lei vietati o inaccessibili. In questo quadro di immobilismo standardizzato, l’utilità sociale della filologia, non solo come luogo dell’apprendistato dello spirito critico, ma anche come strumento per rispondere a domande di senso, di origine e di libertà, è avvertita come eresia o come inutile e fuorviante petizione di principio. Questo libro si avventura nel presente; cercando e trovando nella poesia d’amore medievale una delle radici della concezione europea della libertà, tanto più attuale oggi, quanto più ci si avvede dell’importanza di un’antropologia della persona piuttosto che del singolo genere; dimostrando che cosa la filologia è in grado di fare scrutando le ‘carte del male’, cioè la documentazione di efferati delitti di grande rilevanza sociale e politica (il caso Moro, la mafia ecc.); affrontando, e non evitando, il tema drammatico della verità, col suo corollario del rapporto tra quanti la indagano e la difendono, da un lato, e il potere dall’altro.

Filologia, amore e libertà

Paolo Maninchedda
2024-01-01

Abstract

È diffusa la convinzione che la filologia sia una disciplina erudita, utile per il passato e solo marginalmente per il presente. Questo volume sostiene la tesi opposta e cioè che la filologia sia una disciplina naturale per tutti gli uomini che vogliano darsi conto di sé e della realtà, che vogliano, dunque, praticare l’intelligenza delle cose. Secoli di tradizione hanno collocato la disciplina nei reparti di rianimazione della storia, cioè nei luoghi dove il passato viene sezionato, classificato, riordinato, solo a volte compreso, ma comunque inserito in un rassicurante catalogo. Gli spazi, invece, delle domande e delle sfide del presente sarebbero per lei vietati o inaccessibili. In questo quadro di immobilismo standardizzato, l’utilità sociale della filologia, non solo come luogo dell’apprendistato dello spirito critico, ma anche come strumento per rispondere a domande di senso, di origine e di libertà, è avvertita come eresia o come inutile e fuorviante petizione di principio. Questo libro si avventura nel presente; cercando e trovando nella poesia d’amore medievale una delle radici della concezione europea della libertà, tanto più attuale oggi, quanto più ci si avvede dell’importanza di un’antropologia della persona piuttosto che del singolo genere; dimostrando che cosa la filologia è in grado di fare scrutando le ‘carte del male’, cioè la documentazione di efferati delitti di grande rilevanza sociale e politica (il caso Moro, la mafia ecc.); affrontando, e non evitando, il tema drammatico della verità, col suo corollario del rapporto tra quanti la indagano e la difendono, da un lato, e il potere dall’altro.
2024
978-88-3312-147-5
Philology; Sexuality and chivalry/courtly love; Philosophy of Love; Problem of Evil; Freedom and Authority in Education
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