La Sardegna nel 2024 continua nella traiettoria di crescita iniziata ormai nel 2018 e interrotta solo nel 2020 dalla pandemia di COVID-19. La lettura dei principali indicatori macroeconomici suggerisce un quadro complessivamente positivo favorito da una congiuntura favorevole. L’economia italiana attraversa infatti una fase espansiva certificata dall’andamento del PIL che è cresciuto di circa il 4% tra il 2021 e il 2024, anche se in rallentamento negli ultimi due anni. Traccia dello stesso ciclo espansivo si trova anche nell’andamento del PIL regionale e nella spesa per consumi. Queste variazioni non sono certo sufficienti a colmare il diva-rio con le regioni del Nord e del Centro Italia, nonché con il resto d’Europa: in termini di PIL pro capite, la Sardegna si colloca al 169esimo posto tra le regioni europee, ed al quintultimo posto tra quelle Italiane. L’economia sarda mostra comunque importanti segnali di vitalità, provenienti soprattutto dal mercato del lavoro; su questo aspetto, la Sardegna si colloca in posizione intermedia tra le regioni del Mezzogiorno e quelle del Centro-Nord. Aumentano gli occupati – di ol-tre 14mila unità rispetto al 2023 – e, simmetricamente, calano i disoccupati (-16%) portando così il tasso di disoccupazione al valore più basso degli ultimi 50 anni (8,3%). Crescono anche le retribuzioni, consentendo così di ridurre il divario con il resto d’Italia, dove tuttavia i livelli salariali rimangono generalmente bassi e nettamente inferiori rispetto ad altri paesi europei. A completare il quadro, si riducono le disuguaglianze: rispetto ad altre regioni italiane, la Sardegna mostra una minore concentrazione nella distribuzione dei redditi, con una tendenza in costante diminuzione a partire dal 2020. Questi risultati sono largamente influenzati dall’andamento positivo di alcuni settori chiave nell’economia sarda: il turismo, in primis, ma anche edilizia ed agri-coltura. La Sardegna, dove circa un occupato su quattro è impiegato tra commercio, ricettività e ristorazione, deve buona parte della recente fase di espansione alla ripresa della mobilità internazionale nel periodo post-pandemico. Il dato particolarmente positivo sugli arrivi – quasi 4 milioni di turisti nel 2024 – beneficia sicuramente di questa generale ripresa della domanda globale, di cui la Sardegna ha saputo comunque meglio di altre regioni intercettare i benefici, come evidenziato dal confronto tra l’aumento degli arrivi sull’Isola (+10%) e nel resto d’Italia (+3%). Questa crescita, tuttavia, porta con sé anche alcune criticità. Tra queste, le principali sono legate al problema dell’overtourism – a cui il Rapporto dedica un approfondimento – e all’impatto dell’offerta di alloggi turistici sul mercato immobiliare residenziale. Riguardo a quest’ultimo aspetto, si osserva un significativo incremento del numero degli alloggi turistici privati registrati, passati da circa 22mila a 35mila unità. Si tratta di un aumento in buona parte imputabile a un’emersione dal sommerso dovuta, verosimilmente, all’introduzione di nuovi obblighi di legge per la commercializzazione online, il cui primo risultato sembra quindi essere quello di consentire una misurazione più accurata del fenomeno. Questo scenario, nel complesso positivo, autorizzerebbe un cauto ottimismo, temperato tuttavia dall’incombere di sfide difficili. La prima – forse la più nota – riguarda la demografia. Su questo fronte, il Rapporto non evidenzia grandi elementi di novità, ma conferma la continua erosione del numero dei residenti in Sardegna (9mila in meno a inizio 2025 rispetto all’anno precedente, -87mila rispetto a gennaio 2015). La riduzione è interamente riconducibile al calo della natalità (arrivata a 4,5 nati ogni 1.000 abitanti, il valore più basso tra le regioni ita-liane), dal momento che sia la mortalità sia il saldo migratorio mostrano segnali di miglioramento – quest’ultimo, tuttavia, ancora aggravato dall’emigrazione di giovani e laureati. La diminuzione della componente più giovane della popolazione, sia in termini assoluti sia in rapporto a quella più anziana, rappresenta una sfida per il funzionamento e la sostenibilità di alcuni ingranaggi chiave del sistema eco-nomico regionale, con il rischio di innescare spirali negative. Un esempio è offerto dalle università sarde, che, a partire dal 2021, iniziano a registrare una contrazione del numero di studenti, che rischia di ripercuotersi – anche per effetto dei meccanismi premiali di finanziamento dell’università italiana – sulla futura disponibilità di risorse che sarebbero necessarie proprio per migliorarne l’attrattività. La seconda, invece, nasce dalle prospettive legate alla congiuntura economica e politica, la cui stabilità è minacciata anche dall’introduzione di dazi e guerre commerciali. Proprio per la forte dipendenza da alcuni settori – il turismo, appunto, ma anche i prodotti petroliferi e l’agroalimentare – le incertezze derivanti dal-le tensioni internazionali e a conseguenti fasi di minore crescita possono avere un impatto significativo sullo sviluppo dell’economia sarda. L’esperienza dei cicli di crescita e delle crisi passate ha evidenziato infatti un quadro a due facce. Da un lato, la Sardegna ha storicamente mostrato una buona capacità nel cogliere le traiettorie di ripresa, come è avvenuto sia nel periodo post-pandemico sia negli anni successivi alle crisi del 2008-2013. Dall’altro, la sua crescente esposizione su mercati in cui la domanda è particolarmente sensibile a variazioni del reddito ha storicamente implicato forti contrazioni di consumi e occupazione quando i cicli economici volgevano al negativo. Questa vulnerabilità è accentuata da un tessuto imprenditoriale frammentato, dominato da imprese di dimensioni piccole e piccolissime, e solo parzialmente attenuata dalla dimensione del settore pubblico, che nell’Isola impiega quasi 110mila lavoratori (circa un quinto del totale). La PA, caratterizzata da contratti e livelli salariali stabili, ha sempre svolto una funzione di mitigazione nella trasmissione delle variazioni congiunturali, sia positive che negative, al tessuto sociale; a questo ruolo dovrebbe però aggiungersi anche quello di supportare attivamente la competitività del sistema economico. Segnali positivi in questo senso arrivano dai dati sull’evoluzione della composizione della PA. A partire dal 2017 in Sardegna si osserva un costante miglioramento delle competenze dei dipendenti pubblici, testimoniato dall’aumento – molto più evi-dente che in altre regioni – della quota di lavoratori in possesso di laurea o titoli post lauream. In un contesto nel quale le prospettive di sviluppo dipendono da eventi e dinamiche che travalicano la scala regionale, appare naturale interrogarsi sul ruolo degli attori del sistema economico sardo. In quale direzione dovrebbero orientar-si gli sforzi e le risorse? Si tratta di una domanda particolarmente urgente, soprattutto in questa (breve) fase storica in cui la quantità di risorse disponibili è resa straordinariamente ampia dai fondi del PNRR e non rappresenta quindi più un vincolo stringente. Rispetto al già discusso tema della riduzione della natalità, è difficile immaginare che si possano ottenere risultati significativi. Uno dei focus all’interno di questa edizione del Rapporto rilegge, anche attraverso la prospetti-va di Claudia Goldin (premio Nobel per l’economia 2023) il declino del tasso di fecondità in Sardegna come una dinamica tipica delle società che hanno vissuto una trasformazione economica molto rapida nel secondo dopoguerra. In queste aree, i profondi cambiamenti economici e la conseguente maggiore partecipazione femminile al mercato lavoro sono avvenuti in modo improvviso, senza un altrettanto rapido adeguamento dei modelli culturali, in particolare di quelli relativi alla ripartizione dei carichi all’interno della famiglia, scoraggiando così le donne dall’avere figli. La riduzione della fecondità sarebbe quindi legata a fattori strutturali (cultura e preferenze) più che a fattori contingenti (come le difficoltà economiche). In questa prospettiva, misure di sostegno alla natalità come il cosiddetto bonus bebé – un contributo per i nuovi nati destinato alle famiglie residenti in piccoli comuni, introdotto dalla Regione Sardegna dal 2022 – possono essere solo marginalmente efficaci. Un’analisi del Rapporto mostra come la possibilità di usufruire del bonus abbia effettivamente aumentato le nascite nei comuni interessati. Si tratta di un risultato importante, soprattutto nella prospettiva di rallentare lo spopolamento nei piccoli centri. L’impatto complessivo sull’andamento demo-grafico è però molto contenuto a fronte di un investimento significativo in termini di risorse, e quindi difficilmente scalabile sull’intero territorio regionale. Tra le dimensioni in cui le politiche pubbliche possono invece giocare un ruolo significativo, sia per la rilevanza dei problemi sia per la potenziale efficacia degli interventi, rientra certamente la Sanità. Per il settimo anno consecutivo, la Sardegna registra il più alto tasso di rinuncia alle cure tra le regioni italiane, sintomo evidente della difficoltà a garantire un’offerta adeguata di servizi sanitari. Una conferma viene dai tempi di attesa per il ricovero ospedaliero, con valori che in alcuni casi risultano nettamente superiori tanto alla media italiana che ai limiti previsti dalla normativa – limiti che restano purtroppo solo teorici. Le situazioni più emblematiche emergono in oncologia, e in particolare per i tumori più gravi alla mammella dove il tempo medio di attesa raggiunge i 63 giorni, oltre il doppio del limite di legge della media nazionale. Questi ritardi possono essere riconduci-bili a carenze strutturali nel reperimento di risorse – sia fisiche che umane – ma anche a difficoltà nella gestione di quelle già disponibili. Non a caso, la Sardegna rientra nel gruppo di regioni che combinano tempi di attesa particolarmente lunghi con una elevata spesa sanitaria pro capite (un gruppo che include quattro del-le sei regioni e province autonome a statuto speciale). Queste criticità strutturali finiscono per compromettere, di fatto, l’equità nell’accesso alle cure, creando una disparità fra chi può permettersi soluzioni private e chi non ne ha la possibili-tà. In Sardegna, l’83% di coloro che rinunciano alle cure nel 2024 afferma di farlo perché queste sono diventate “troppo care” (solo tre anni prima la percentuale era del 50%). Questo dato suggerisce che molti pazienti abbiano ormai interiorizzato la consapevolezza che in molti casi la possibilità di usufruire del Servizio Sanitario Nazionale, universale e gratuito, non sia di fatto percorribile. Molte delle speranze sul miglioramento di questa situazione sono affidate al PNRR. Ma i ritardi nell’attuazione, oltre che i limiti stessi del Piano, non permettono di guarda-re al futuro con particolare ottimismo, in assenza di ulteriori interventi. I dati sull’accessibilità agli ospedali evidenziano come per oltre quasi metà dei residenti in Sardegna il tempo di viaggio per raggiungere un reparto di medicina d’urgenza più vicino superi i 15 minuti (uno dei valori più alti in Italia), e che per oltre 200mila sardi questo superi i 30 minuti. In questo contesto, gli investimenti del PNRR concentrati su strutture integrative – e non alternative – agli ospedali possono solo ambire ad alleviare la pressione su un sistema sanitario in difficoltà, ma non a risolverne le carenze. Infine, un altro ambito dove è auspicabile un impegno significativo da parte dei decisori politici, locali e nazionali, è quello della gestione della transizione energetica e degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili. Il Rapporto dedica a questo tema una serie di approfondimenti che evidenziano il ruolo sempre più importante della Sardegna come esportatore netto di energia, special-mente da fonti rinnovabili. La crescita della potenza installata e le nuove richieste di connessione di impianti di grande capacità rendono urgente affrontare alcuni nodi cruciali. Tra questi, i principali sono il mismatch tra produzione e consumo, le incognite relative alla stabilità delle reti di distribuzione e la necessità di garantire un’equilibrata coesistenza tra la transizione energetica e la tutela ambientale del territorio regionale. Affrontare efficacemente queste criticità implica definire con chiarezza quali siano i costi e benefici anche per le comunità direttamente coinvolte. Su quest’ultimo fronte, un elemento positivo potrebbe derivare dall’introduzione – qualora confermata – dei prezzi zonali di riferimento per l’energia, di cui uno espressamente dedicato alla Sardegna. Tale sistema, infatti, potrebbe favorire non soltanto gli operatori locali impegnati nella produzione energetica, ma anche le imprese e le famiglie sarde attraverso un minore costo dell’energia, a condizione di un’adeguata pianificazione delle infrastrutture per l’accumulazione e la distribuzione dell'energia prodotta. La rigidità della normati-va, invece, limita fortemente l’apertura di un’altra possibile fonte di benefici, derivante dalla negoziazione tra gli operatori economici del settore e le comunità locali interessate. Ma le prospettive di successo della Sardegna non dipendono certamente solo dalle scelte di politica pubblica. La capacità di resistere a congiunture avverse o di sfruttare quelle favorevoli è infatti affidata anche – e soprattutto – all’iniziativa di lavoratori e imprese. In quest'ottica, un elemento incoraggiante emerge da una recente indagine sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle imprese: nel 2023, il tasso di adozione dell’IA in Sardegna (8,2%) è superiore alla media nazionale (7,7%); inoltre, un quinto delle imprese sarde intervistate prevede di adottarla entro i prossimi tre anni. Questa tendenza è favorita dalla presenza nell’Isola di un piccolo ma dinamico ecosistema ICT e da alcuni segnali di crescita della quota di scienziati e ingegneri nella popolazione regionale. Ed è proprio nel contesto delle difficoltà evidenziate nei paragrafi precedenti che questi dati rappresentano un segnale particolarmente positivo. Se è vero che il contrasto alla crisi demografica è un obiettivo difficile, la priorità per continuare a garantire prospettive di sviluppo non può che essere aumentare la produttività, ad esempio attraverso l’adozione su larga scala di tecnologie innovative. Invertire la tendenza di una produttività stagnante, come quella osservata in tutto il sistema economico italiano negli ultimi vent’anni, costituisce quindi la sfida cruciale, in Sardegna e nel resto d’Italia.
Il sistema economico
Dettori, Barbara
2025-01-01
Abstract
La Sardegna nel 2024 continua nella traiettoria di crescita iniziata ormai nel 2018 e interrotta solo nel 2020 dalla pandemia di COVID-19. La lettura dei principali indicatori macroeconomici suggerisce un quadro complessivamente positivo favorito da una congiuntura favorevole. L’economia italiana attraversa infatti una fase espansiva certificata dall’andamento del PIL che è cresciuto di circa il 4% tra il 2021 e il 2024, anche se in rallentamento negli ultimi due anni. Traccia dello stesso ciclo espansivo si trova anche nell’andamento del PIL regionale e nella spesa per consumi. Queste variazioni non sono certo sufficienti a colmare il diva-rio con le regioni del Nord e del Centro Italia, nonché con il resto d’Europa: in termini di PIL pro capite, la Sardegna si colloca al 169esimo posto tra le regioni europee, ed al quintultimo posto tra quelle Italiane. L’economia sarda mostra comunque importanti segnali di vitalità, provenienti soprattutto dal mercato del lavoro; su questo aspetto, la Sardegna si colloca in posizione intermedia tra le regioni del Mezzogiorno e quelle del Centro-Nord. Aumentano gli occupati – di ol-tre 14mila unità rispetto al 2023 – e, simmetricamente, calano i disoccupati (-16%) portando così il tasso di disoccupazione al valore più basso degli ultimi 50 anni (8,3%). Crescono anche le retribuzioni, consentendo così di ridurre il divario con il resto d’Italia, dove tuttavia i livelli salariali rimangono generalmente bassi e nettamente inferiori rispetto ad altri paesi europei. A completare il quadro, si riducono le disuguaglianze: rispetto ad altre regioni italiane, la Sardegna mostra una minore concentrazione nella distribuzione dei redditi, con una tendenza in costante diminuzione a partire dal 2020. Questi risultati sono largamente influenzati dall’andamento positivo di alcuni settori chiave nell’economia sarda: il turismo, in primis, ma anche edilizia ed agri-coltura. La Sardegna, dove circa un occupato su quattro è impiegato tra commercio, ricettività e ristorazione, deve buona parte della recente fase di espansione alla ripresa della mobilità internazionale nel periodo post-pandemico. Il dato particolarmente positivo sugli arrivi – quasi 4 milioni di turisti nel 2024 – beneficia sicuramente di questa generale ripresa della domanda globale, di cui la Sardegna ha saputo comunque meglio di altre regioni intercettare i benefici, come evidenziato dal confronto tra l’aumento degli arrivi sull’Isola (+10%) e nel resto d’Italia (+3%). Questa crescita, tuttavia, porta con sé anche alcune criticità. Tra queste, le principali sono legate al problema dell’overtourism – a cui il Rapporto dedica un approfondimento – e all’impatto dell’offerta di alloggi turistici sul mercato immobiliare residenziale. Riguardo a quest’ultimo aspetto, si osserva un significativo incremento del numero degli alloggi turistici privati registrati, passati da circa 22mila a 35mila unità. Si tratta di un aumento in buona parte imputabile a un’emersione dal sommerso dovuta, verosimilmente, all’introduzione di nuovi obblighi di legge per la commercializzazione online, il cui primo risultato sembra quindi essere quello di consentire una misurazione più accurata del fenomeno. Questo scenario, nel complesso positivo, autorizzerebbe un cauto ottimismo, temperato tuttavia dall’incombere di sfide difficili. La prima – forse la più nota – riguarda la demografia. Su questo fronte, il Rapporto non evidenzia grandi elementi di novità, ma conferma la continua erosione del numero dei residenti in Sardegna (9mila in meno a inizio 2025 rispetto all’anno precedente, -87mila rispetto a gennaio 2015). La riduzione è interamente riconducibile al calo della natalità (arrivata a 4,5 nati ogni 1.000 abitanti, il valore più basso tra le regioni ita-liane), dal momento che sia la mortalità sia il saldo migratorio mostrano segnali di miglioramento – quest’ultimo, tuttavia, ancora aggravato dall’emigrazione di giovani e laureati. La diminuzione della componente più giovane della popolazione, sia in termini assoluti sia in rapporto a quella più anziana, rappresenta una sfida per il funzionamento e la sostenibilità di alcuni ingranaggi chiave del sistema eco-nomico regionale, con il rischio di innescare spirali negative. Un esempio è offerto dalle università sarde, che, a partire dal 2021, iniziano a registrare una contrazione del numero di studenti, che rischia di ripercuotersi – anche per effetto dei meccanismi premiali di finanziamento dell’università italiana – sulla futura disponibilità di risorse che sarebbero necessarie proprio per migliorarne l’attrattività. La seconda, invece, nasce dalle prospettive legate alla congiuntura economica e politica, la cui stabilità è minacciata anche dall’introduzione di dazi e guerre commerciali. Proprio per la forte dipendenza da alcuni settori – il turismo, appunto, ma anche i prodotti petroliferi e l’agroalimentare – le incertezze derivanti dal-le tensioni internazionali e a conseguenti fasi di minore crescita possono avere un impatto significativo sullo sviluppo dell’economia sarda. L’esperienza dei cicli di crescita e delle crisi passate ha evidenziato infatti un quadro a due facce. Da un lato, la Sardegna ha storicamente mostrato una buona capacità nel cogliere le traiettorie di ripresa, come è avvenuto sia nel periodo post-pandemico sia negli anni successivi alle crisi del 2008-2013. Dall’altro, la sua crescente esposizione su mercati in cui la domanda è particolarmente sensibile a variazioni del reddito ha storicamente implicato forti contrazioni di consumi e occupazione quando i cicli economici volgevano al negativo. Questa vulnerabilità è accentuata da un tessuto imprenditoriale frammentato, dominato da imprese di dimensioni piccole e piccolissime, e solo parzialmente attenuata dalla dimensione del settore pubblico, che nell’Isola impiega quasi 110mila lavoratori (circa un quinto del totale). La PA, caratterizzata da contratti e livelli salariali stabili, ha sempre svolto una funzione di mitigazione nella trasmissione delle variazioni congiunturali, sia positive che negative, al tessuto sociale; a questo ruolo dovrebbe però aggiungersi anche quello di supportare attivamente la competitività del sistema economico. Segnali positivi in questo senso arrivano dai dati sull’evoluzione della composizione della PA. A partire dal 2017 in Sardegna si osserva un costante miglioramento delle competenze dei dipendenti pubblici, testimoniato dall’aumento – molto più evi-dente che in altre regioni – della quota di lavoratori in possesso di laurea o titoli post lauream. In un contesto nel quale le prospettive di sviluppo dipendono da eventi e dinamiche che travalicano la scala regionale, appare naturale interrogarsi sul ruolo degli attori del sistema economico sardo. In quale direzione dovrebbero orientar-si gli sforzi e le risorse? Si tratta di una domanda particolarmente urgente, soprattutto in questa (breve) fase storica in cui la quantità di risorse disponibili è resa straordinariamente ampia dai fondi del PNRR e non rappresenta quindi più un vincolo stringente. Rispetto al già discusso tema della riduzione della natalità, è difficile immaginare che si possano ottenere risultati significativi. Uno dei focus all’interno di questa edizione del Rapporto rilegge, anche attraverso la prospetti-va di Claudia Goldin (premio Nobel per l’economia 2023) il declino del tasso di fecondità in Sardegna come una dinamica tipica delle società che hanno vissuto una trasformazione economica molto rapida nel secondo dopoguerra. In queste aree, i profondi cambiamenti economici e la conseguente maggiore partecipazione femminile al mercato lavoro sono avvenuti in modo improvviso, senza un altrettanto rapido adeguamento dei modelli culturali, in particolare di quelli relativi alla ripartizione dei carichi all’interno della famiglia, scoraggiando così le donne dall’avere figli. La riduzione della fecondità sarebbe quindi legata a fattori strutturali (cultura e preferenze) più che a fattori contingenti (come le difficoltà economiche). In questa prospettiva, misure di sostegno alla natalità come il cosiddetto bonus bebé – un contributo per i nuovi nati destinato alle famiglie residenti in piccoli comuni, introdotto dalla Regione Sardegna dal 2022 – possono essere solo marginalmente efficaci. Un’analisi del Rapporto mostra come la possibilità di usufruire del bonus abbia effettivamente aumentato le nascite nei comuni interessati. Si tratta di un risultato importante, soprattutto nella prospettiva di rallentare lo spopolamento nei piccoli centri. L’impatto complessivo sull’andamento demo-grafico è però molto contenuto a fronte di un investimento significativo in termini di risorse, e quindi difficilmente scalabile sull’intero territorio regionale. Tra le dimensioni in cui le politiche pubbliche possono invece giocare un ruolo significativo, sia per la rilevanza dei problemi sia per la potenziale efficacia degli interventi, rientra certamente la Sanità. Per il settimo anno consecutivo, la Sardegna registra il più alto tasso di rinuncia alle cure tra le regioni italiane, sintomo evidente della difficoltà a garantire un’offerta adeguata di servizi sanitari. Una conferma viene dai tempi di attesa per il ricovero ospedaliero, con valori che in alcuni casi risultano nettamente superiori tanto alla media italiana che ai limiti previsti dalla normativa – limiti che restano purtroppo solo teorici. Le situazioni più emblematiche emergono in oncologia, e in particolare per i tumori più gravi alla mammella dove il tempo medio di attesa raggiunge i 63 giorni, oltre il doppio del limite di legge della media nazionale. Questi ritardi possono essere riconduci-bili a carenze strutturali nel reperimento di risorse – sia fisiche che umane – ma anche a difficoltà nella gestione di quelle già disponibili. Non a caso, la Sardegna rientra nel gruppo di regioni che combinano tempi di attesa particolarmente lunghi con una elevata spesa sanitaria pro capite (un gruppo che include quattro del-le sei regioni e province autonome a statuto speciale). Queste criticità strutturali finiscono per compromettere, di fatto, l’equità nell’accesso alle cure, creando una disparità fra chi può permettersi soluzioni private e chi non ne ha la possibili-tà. In Sardegna, l’83% di coloro che rinunciano alle cure nel 2024 afferma di farlo perché queste sono diventate “troppo care” (solo tre anni prima la percentuale era del 50%). Questo dato suggerisce che molti pazienti abbiano ormai interiorizzato la consapevolezza che in molti casi la possibilità di usufruire del Servizio Sanitario Nazionale, universale e gratuito, non sia di fatto percorribile. Molte delle speranze sul miglioramento di questa situazione sono affidate al PNRR. Ma i ritardi nell’attuazione, oltre che i limiti stessi del Piano, non permettono di guarda-re al futuro con particolare ottimismo, in assenza di ulteriori interventi. I dati sull’accessibilità agli ospedali evidenziano come per oltre quasi metà dei residenti in Sardegna il tempo di viaggio per raggiungere un reparto di medicina d’urgenza più vicino superi i 15 minuti (uno dei valori più alti in Italia), e che per oltre 200mila sardi questo superi i 30 minuti. In questo contesto, gli investimenti del PNRR concentrati su strutture integrative – e non alternative – agli ospedali possono solo ambire ad alleviare la pressione su un sistema sanitario in difficoltà, ma non a risolverne le carenze. Infine, un altro ambito dove è auspicabile un impegno significativo da parte dei decisori politici, locali e nazionali, è quello della gestione della transizione energetica e degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili. Il Rapporto dedica a questo tema una serie di approfondimenti che evidenziano il ruolo sempre più importante della Sardegna come esportatore netto di energia, special-mente da fonti rinnovabili. La crescita della potenza installata e le nuove richieste di connessione di impianti di grande capacità rendono urgente affrontare alcuni nodi cruciali. Tra questi, i principali sono il mismatch tra produzione e consumo, le incognite relative alla stabilità delle reti di distribuzione e la necessità di garantire un’equilibrata coesistenza tra la transizione energetica e la tutela ambientale del territorio regionale. Affrontare efficacemente queste criticità implica definire con chiarezza quali siano i costi e benefici anche per le comunità direttamente coinvolte. Su quest’ultimo fronte, un elemento positivo potrebbe derivare dall’introduzione – qualora confermata – dei prezzi zonali di riferimento per l’energia, di cui uno espressamente dedicato alla Sardegna. Tale sistema, infatti, potrebbe favorire non soltanto gli operatori locali impegnati nella produzione energetica, ma anche le imprese e le famiglie sarde attraverso un minore costo dell’energia, a condizione di un’adeguata pianificazione delle infrastrutture per l’accumulazione e la distribuzione dell'energia prodotta. La rigidità della normati-va, invece, limita fortemente l’apertura di un’altra possibile fonte di benefici, derivante dalla negoziazione tra gli operatori economici del settore e le comunità locali interessate. Ma le prospettive di successo della Sardegna non dipendono certamente solo dalle scelte di politica pubblica. La capacità di resistere a congiunture avverse o di sfruttare quelle favorevoli è infatti affidata anche – e soprattutto – all’iniziativa di lavoratori e imprese. In quest'ottica, un elemento incoraggiante emerge da una recente indagine sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle imprese: nel 2023, il tasso di adozione dell’IA in Sardegna (8,2%) è superiore alla media nazionale (7,7%); inoltre, un quinto delle imprese sarde intervistate prevede di adottarla entro i prossimi tre anni. Questa tendenza è favorita dalla presenza nell’Isola di un piccolo ma dinamico ecosistema ICT e da alcuni segnali di crescita della quota di scienziati e ingegneri nella popolazione regionale. Ed è proprio nel contesto delle difficoltà evidenziate nei paragrafi precedenti che questi dati rappresentano un segnale particolarmente positivo. Se è vero che il contrasto alla crisi demografica è un obiettivo difficile, la priorità per continuare a garantire prospettive di sviluppo non può che essere aumentare la produttività, ad esempio attraverso l’adozione su larga scala di tecnologie innovative. Invertire la tendenza di una produttività stagnante, come quella osservata in tutto il sistema economico italiano negli ultimi vent’anni, costituisce quindi la sfida cruciale, in Sardegna e nel resto d’Italia.| File | Dimensione | Formato | |
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