Accanto ai grandi problemi da molti sentiti e da quasi tutti condivisi, c’era un problema, un problema morale e allo steso tempo un problema materiale per il quale Garibaldi, col suo spirito aperto e col suo senso di giustizia, aveva maturato una particolare sensibilità. Era il problema del rapporto uomini e animali, in un mondo nel quale, come diceva Schopenhauer, gli animali erano restati senza diritti. Garibaldi, vivendo a contatto con gli animali nell’Arca di Noè di Caprera aveva capito che quello del rapporto uomini e animali sarebbe stata una delle grandi questioni morali della sua epoca e delle epoche future. Tenuto conto della difficoltà dell’impresa, per la riuscita della quale bisognava superare secoli di pregiudizi, di atteggiamenti retrogradi e di grave ingiustizia, sapendo, in questa circostanza, di non poter più contare sui “Mille”, ma solo su pochi, o forse su uno solo, si rivolse proprio all’uomo di cui allora si fidava di più: Timoteo Riboli.Se Garibaldi viveva a Caprera, dove, come un faro, inviava potenti raggi di luce sull’Italia, Riboli viveva a Torino, città certamente più adatta a un’attività di proselitismo e propaganda come quella necessaria a creare un’associazione animalista. Se Garibaldi prima di allora aveva combattuto per liberare l’uomo dalla tirannide dei suoi simili, ora intendeva combattere una battaglia ancora più ardua: liberare gli animali, componenti essenziali della creazione, dalla più ingiusta e tirannica delle creature: l’uomo. Ci voleva uno straordinario coraggio per intraprendere una simile battaglia e a Garibaldi, il Leone di Caprera, il coraggio non mancava.
Di mondo in mondo. Garibaldi dall'uomo alla natura
CONTINIELLO, GIUSEPPE MARIA MICHELE;
2011-01-01
Abstract
Accanto ai grandi problemi da molti sentiti e da quasi tutti condivisi, c’era un problema, un problema morale e allo steso tempo un problema materiale per il quale Garibaldi, col suo spirito aperto e col suo senso di giustizia, aveva maturato una particolare sensibilità. Era il problema del rapporto uomini e animali, in un mondo nel quale, come diceva Schopenhauer, gli animali erano restati senza diritti. Garibaldi, vivendo a contatto con gli animali nell’Arca di Noè di Caprera aveva capito che quello del rapporto uomini e animali sarebbe stata una delle grandi questioni morali della sua epoca e delle epoche future. Tenuto conto della difficoltà dell’impresa, per la riuscita della quale bisognava superare secoli di pregiudizi, di atteggiamenti retrogradi e di grave ingiustizia, sapendo, in questa circostanza, di non poter più contare sui “Mille”, ma solo su pochi, o forse su uno solo, si rivolse proprio all’uomo di cui allora si fidava di più: Timoteo Riboli.Se Garibaldi viveva a Caprera, dove, come un faro, inviava potenti raggi di luce sull’Italia, Riboli viveva a Torino, città certamente più adatta a un’attività di proselitismo e propaganda come quella necessaria a creare un’associazione animalista. Se Garibaldi prima di allora aveva combattuto per liberare l’uomo dalla tirannide dei suoi simili, ora intendeva combattere una battaglia ancora più ardua: liberare gli animali, componenti essenziali della creazione, dalla più ingiusta e tirannica delle creature: l’uomo. Ci voleva uno straordinario coraggio per intraprendere una simile battaglia e a Garibaldi, il Leone di Caprera, il coraggio non mancava.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.