Lo studio esamina ed approfondisce, in una prospettiva del tutto originale, la tematica delle modificazioni del regolamento contrattuale nei rapporti di agenzia. Concentrandosi soprattutto sulla frequente attribuzione convenzionale, in capo al preponente, del potere di variare unilateralmente elementi economici e giuridici del contratto, mette in luce le “dinamiche patologiche” che potrebbero determinarsi nelle vicende modificative, ancorché derivanti dall’accordo tra i contraenti (ove il ius variandi non operi). Partendo dalla constatazione che i rapporti di agenzia, destinati a durare nel tempo, richiedono una certa flessibilità e capacità di adattamento all'evolversi delle circostanze e che, dunque, gli strumenti idonei a garantire tali caratteristiche devono – in linea di principio – essere preservati, l’indagine muove dall’esame delle pronunce giurisprudenziali in materia di ius variandi, per poi inoltrarsi in un approfondito studio della regolamentazione del fenomeno delle variazioni contenuta nei principali contratti economici collettivi. Come si documenta nel lavoro, la giurisprudenza è giunta a risultati diametralmente opposti: nella maggior parte dei casi, ha concluso per l’inefficacia delle modifiche unilateralmente apportate al contratto sulla base dell’accertamento della nullità della clausola attributiva del potere (nullità a sua volta variamente motivata dall’indeterminatezza dell’oggetto o dalla violazione dell’art. 1355 c.c.), altre volte, ha riconosciuto la validità clausola, purché relativa ad un ius variandi limitato da precisi criteri e parametri, disponendo la verifica della conformità al canone di correttezza e buona fede dei singoli atti di esercizio. A fronte dell’orientamento che ha sposato la soluzione della nullità della clausola, certa dottrina, nel tentativo di conservare l’efficacia delle variazioni, ha proposto una differente ricostruzione della vicenda modificativa riferibile ai casi in cui al ius variandi di una parte sia associato il diritto di recesso dell’altra. Ha rinvenuto, difatti, nel mancato esercizio del diritto di recesso spettante all’agente destinatario della “proposta modificativa” del preponente, un’accettazione tacita della variatio, così riconducendo la fattispecie all’alveo delle modifiche concordate. La tesi viene esaminata e criticata con ampie argomentazioni che evidenziano i limiti di rilevanza del silenzio nella formazione del consenso modificativo. L’autrice osserva, inoltre, che lo scrutinio di validità del patto deve condursi secondo parametri che tengano conto della funzione dello strumento di adeguamento e delle più moderne concezioni elaborate dalla dottrina sulla determinatezza e determinabilità dell’oggetto contrattuale, le quali consentono di sottrarre alla censura di invalidità le clausole attributive del ius variandi seppur prive di soglie predeterminate di variazione. Esaminata la disciplina collettiva che ripropone, pur in una diversa combinazione, il binomio ius variandi/recesso per il caso di modifiche di non lieve entità, invita a concentrare l’attenzione sulle effettive modalità di esercizio del potere, al fine di sanzionare gli abusi con l’inefficacia della modifica ed inquadrare correttamente la causa di cessazione del rapporto, ove la vicenda modificativa sfoci nell’interruzione della relazione. In quest’ottica, si sofferma sulla disciplina collettiva osservando come il rispetto della stessa, anche laddove conduca a modifiche consensuali (realizzate mediante una sequenza procedimentale che si articola nella proposta del preponente seguita dal mancato rifiuto espresso della variatio da parte dell’agente), non metta al riparo dal pericolo di sopraffazioni perpetrate dal contraente forte, imponendo all’interprete la ricerca di adeguate tutele. Ricondotti i rapporti di agenzia nell’area del “terzo contratto”, ossia delle relazioni tra imprese connotate da uno squilibrio di potere contrattuale, individua nell’art. 9 della legge n. 192/1998, che sanziona l’abuso di dipendenza economica, la norma – di applicazione generale nei rapporti asimmetrici tra imprese – attraverso la quale sindacare ed eventualmente sanzionare, con l’inefficacia e/o la nullità, le condotte abusive connesse alle modifiche contrattuali sfavorevoli all’agente, siano esse introdotte mediante l’esercizio di poteri unilaterali da parte del preponente, siano esse attuate attraverso speciali procedimenti di formazione del consenso basati sull’iniziativa assunta dal contraente forte cui fa seguito il silenzio della parte debole.

Ius variandi e modifiche "consensuali" nei rapporti di agenzia. Analisi del tema nella prospettiva del <>.

PISU, ALESSANDRA
2013-01-01

Abstract

Lo studio esamina ed approfondisce, in una prospettiva del tutto originale, la tematica delle modificazioni del regolamento contrattuale nei rapporti di agenzia. Concentrandosi soprattutto sulla frequente attribuzione convenzionale, in capo al preponente, del potere di variare unilateralmente elementi economici e giuridici del contratto, mette in luce le “dinamiche patologiche” che potrebbero determinarsi nelle vicende modificative, ancorché derivanti dall’accordo tra i contraenti (ove il ius variandi non operi). Partendo dalla constatazione che i rapporti di agenzia, destinati a durare nel tempo, richiedono una certa flessibilità e capacità di adattamento all'evolversi delle circostanze e che, dunque, gli strumenti idonei a garantire tali caratteristiche devono – in linea di principio – essere preservati, l’indagine muove dall’esame delle pronunce giurisprudenziali in materia di ius variandi, per poi inoltrarsi in un approfondito studio della regolamentazione del fenomeno delle variazioni contenuta nei principali contratti economici collettivi. Come si documenta nel lavoro, la giurisprudenza è giunta a risultati diametralmente opposti: nella maggior parte dei casi, ha concluso per l’inefficacia delle modifiche unilateralmente apportate al contratto sulla base dell’accertamento della nullità della clausola attributiva del potere (nullità a sua volta variamente motivata dall’indeterminatezza dell’oggetto o dalla violazione dell’art. 1355 c.c.), altre volte, ha riconosciuto la validità clausola, purché relativa ad un ius variandi limitato da precisi criteri e parametri, disponendo la verifica della conformità al canone di correttezza e buona fede dei singoli atti di esercizio. A fronte dell’orientamento che ha sposato la soluzione della nullità della clausola, certa dottrina, nel tentativo di conservare l’efficacia delle variazioni, ha proposto una differente ricostruzione della vicenda modificativa riferibile ai casi in cui al ius variandi di una parte sia associato il diritto di recesso dell’altra. Ha rinvenuto, difatti, nel mancato esercizio del diritto di recesso spettante all’agente destinatario della “proposta modificativa” del preponente, un’accettazione tacita della variatio, così riconducendo la fattispecie all’alveo delle modifiche concordate. La tesi viene esaminata e criticata con ampie argomentazioni che evidenziano i limiti di rilevanza del silenzio nella formazione del consenso modificativo. L’autrice osserva, inoltre, che lo scrutinio di validità del patto deve condursi secondo parametri che tengano conto della funzione dello strumento di adeguamento e delle più moderne concezioni elaborate dalla dottrina sulla determinatezza e determinabilità dell’oggetto contrattuale, le quali consentono di sottrarre alla censura di invalidità le clausole attributive del ius variandi seppur prive di soglie predeterminate di variazione. Esaminata la disciplina collettiva che ripropone, pur in una diversa combinazione, il binomio ius variandi/recesso per il caso di modifiche di non lieve entità, invita a concentrare l’attenzione sulle effettive modalità di esercizio del potere, al fine di sanzionare gli abusi con l’inefficacia della modifica ed inquadrare correttamente la causa di cessazione del rapporto, ove la vicenda modificativa sfoci nell’interruzione della relazione. In quest’ottica, si sofferma sulla disciplina collettiva osservando come il rispetto della stessa, anche laddove conduca a modifiche consensuali (realizzate mediante una sequenza procedimentale che si articola nella proposta del preponente seguita dal mancato rifiuto espresso della variatio da parte dell’agente), non metta al riparo dal pericolo di sopraffazioni perpetrate dal contraente forte, imponendo all’interprete la ricerca di adeguate tutele. Ricondotti i rapporti di agenzia nell’area del “terzo contratto”, ossia delle relazioni tra imprese connotate da uno squilibrio di potere contrattuale, individua nell’art. 9 della legge n. 192/1998, che sanziona l’abuso di dipendenza economica, la norma – di applicazione generale nei rapporti asimmetrici tra imprese – attraverso la quale sindacare ed eventualmente sanzionare, con l’inefficacia e/o la nullità, le condotte abusive connesse alle modifiche contrattuali sfavorevoli all’agente, siano esse introdotte mediante l’esercizio di poteri unilaterali da parte del preponente, siano esse attuate attraverso speciali procedimenti di formazione del consenso basati sull’iniziativa assunta dal contraente forte cui fa seguito il silenzio della parte debole.
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