La dottrina del ğihād dà luogo ad un ğihād istituzionale che si distingue dal ğihād storico, ma che da quest’ultimo è influenzato e condizionato. La dottrina, infatti, è frutto di tutta una serie di matrici che vanno dalla tradizione dei maġāzī ai costumi locali delle regioni conquistate e alle tradizioni arabe preislamiche. È la tradizione giuridica che maggiormente si avvicina al senso di “guerra santa”, che tanto piace a fondamentalisti e media occidentali; uno dei principali problemi di interpretazione è che molti studiosi considerano la giurisprudenza come l’unica anima dell’Islam; in realtà costoro non tengono conto della florida tradizione sufi, diffusissima in tutto il mondo islamico, che storicamente ha conosciuto frequenti momenti di convivenza, se non di interazione, con la dimensione giuridica; emblematico, in questo senso, il caso di ‘abd al-Ġānī al-Nābulusī (1641-1731), che riuscì a svolgere brillantemente e senza contraddizioni il ruolo di mistico, teologo e giurista . Non condividiamo, pertanto, le affermazioni di quegli studiosi sostenitori dell’idea che il sufismo nell’Islam non abbia mai goduto di grande stima e che l’Islam sia solo la legge. Vero è che il pensiero islamico tradizionale non ha mai accettato gli eccessi, comprese le manifestazioni troppo eccentriche di alcuni ordini sufi, ma comprese anche le posizioni neo-kharigirite e neo-|anbalite dell’universo fondamentalista contemporaneo. Le manifestazioni esagerate dell’Islam contemporaneo, per riprendere ancora una volta le parole di Alberto Ventura, appaiono «più che altro come una semplice variante ideologica della civiltà occidentale moderna, alla quale finge o si illude di opporsi, ma di cui ha in realtà accettato e assimilato tutti i presupposti».

Il concetto di Gihad

MELIS, NICOLA
2006-01-01

Abstract

La dottrina del ğihād dà luogo ad un ğihād istituzionale che si distingue dal ğihād storico, ma che da quest’ultimo è influenzato e condizionato. La dottrina, infatti, è frutto di tutta una serie di matrici che vanno dalla tradizione dei maġāzī ai costumi locali delle regioni conquistate e alle tradizioni arabe preislamiche. È la tradizione giuridica che maggiormente si avvicina al senso di “guerra santa”, che tanto piace a fondamentalisti e media occidentali; uno dei principali problemi di interpretazione è che molti studiosi considerano la giurisprudenza come l’unica anima dell’Islam; in realtà costoro non tengono conto della florida tradizione sufi, diffusissima in tutto il mondo islamico, che storicamente ha conosciuto frequenti momenti di convivenza, se non di interazione, con la dimensione giuridica; emblematico, in questo senso, il caso di ‘abd al-Ġānī al-Nābulusī (1641-1731), che riuscì a svolgere brillantemente e senza contraddizioni il ruolo di mistico, teologo e giurista . Non condividiamo, pertanto, le affermazioni di quegli studiosi sostenitori dell’idea che il sufismo nell’Islam non abbia mai goduto di grande stima e che l’Islam sia solo la legge. Vero è che il pensiero islamico tradizionale non ha mai accettato gli eccessi, comprese le manifestazioni troppo eccentriche di alcuni ordini sufi, ma comprese anche le posizioni neo-kharigirite e neo-|anbalite dell’universo fondamentalista contemporaneo. Le manifestazioni esagerate dell’Islam contemporaneo, per riprendere ancora una volta le parole di Alberto Ventura, appaiono «più che altro come una semplice variante ideologica della civiltà occidentale moderna, alla quale finge o si illude di opporsi, ma di cui ha in realtà accettato e assimilato tutti i presupposti».
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