La produzione architettonica contemporanea vede la coesistenza di linguaggi apparentemente molto diversi tra loro sia in termini espressivi che tecnologici: in tempi di globalizzazione essi si sono sviluppati simultaneamente in ambiti, fisicamente e culturalmente, molto distanti tra loro. Tra i vari linguaggi quello classificato, talvolta sbrigativamente, come minimalista ha raggiunto da qualche tempo un ruolo di primo piano. Esso si è affermato grazie all’opera di numerosi progettisti che, dall’Australia al Sud Africa, dagli Stati Uniti all’Europa, hanno dato vita ad un’ampia e diversificata produzione. Gli episodi così concepiti, utilizzando spesso materiali non canonici, si sono potuti concretizzare grazie alla messa a punto di efficienti dettagli costruttivi e di un limitato impiego energetico non solo in fase esecutiva ma anche in quella di gestione dell’edificato. Questo insieme di fattori ha permesso di raggiungere elevati standard qualitativi sia in termini architettonici che in termini economici conferendo così al movimento visibilità e consensi. In quest’ambito, tra le personalità emerse, particolarmente significative paiono le opere, ad esempio, di Nina Cohen e Hilton Judin, Péter Kis e Tamás Ükös, Shigeru Ban, Glenn Murcutt, Sean Godsell: analizzare alcuni lavori di questi ultimi tre ci permette di tracciare, per quanto brevemente, un quadro di riferimento utile alla comprensione del fenomeno che si configura attualmente come tra i più interessanti nel confronto tra architettura high – tech e low – tech.

Materiali, sistemi e minimalisti

LODDO, GIANRAFFAELE
2004-01-01

Abstract

La produzione architettonica contemporanea vede la coesistenza di linguaggi apparentemente molto diversi tra loro sia in termini espressivi che tecnologici: in tempi di globalizzazione essi si sono sviluppati simultaneamente in ambiti, fisicamente e culturalmente, molto distanti tra loro. Tra i vari linguaggi quello classificato, talvolta sbrigativamente, come minimalista ha raggiunto da qualche tempo un ruolo di primo piano. Esso si è affermato grazie all’opera di numerosi progettisti che, dall’Australia al Sud Africa, dagli Stati Uniti all’Europa, hanno dato vita ad un’ampia e diversificata produzione. Gli episodi così concepiti, utilizzando spesso materiali non canonici, si sono potuti concretizzare grazie alla messa a punto di efficienti dettagli costruttivi e di un limitato impiego energetico non solo in fase esecutiva ma anche in quella di gestione dell’edificato. Questo insieme di fattori ha permesso di raggiungere elevati standard qualitativi sia in termini architettonici che in termini economici conferendo così al movimento visibilità e consensi. In quest’ambito, tra le personalità emerse, particolarmente significative paiono le opere, ad esempio, di Nina Cohen e Hilton Judin, Péter Kis e Tamás Ükös, Shigeru Ban, Glenn Murcutt, Sean Godsell: analizzare alcuni lavori di questi ultimi tre ci permette di tracciare, per quanto brevemente, un quadro di riferimento utile alla comprensione del fenomeno che si configura attualmente come tra i più interessanti nel confronto tra architettura high – tech e low – tech.
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