Le relazioni ambientali che legano le comunità ai propri ambienti di vita e, soprattutto, l'identificazione e quantificazione dei benefici economici, sociali e culturali che le comunità traggono da essi in termini di servizi ecosistemici, sono divenute centrali nella pianificazione territoriale. La polarizzazione delle dinamiche di sviluppo attorno alle grandi città, tuttavia, continua a minare l’efficacia dei piani inibendo l’attivazione del capitale territoriale nelle aree rurali, definite al negativo “aree interne”. I sistemi agro-forestali non sono più utilizzati, il capitale edilizio cade in disuso, le conoscenze e le pratiche di manutenzione del territorio non si tramandano e si perdono generando i “paesaggi dell’abbandono”. I costi sociali degli attuali processi di produzione e di consumo divengono palesi e manifesti: dal dissesto idrogeologico, alla perdita di diversità biologica sino alla carenza dei servizi di base per le comunità insediate. Nelle politiche pubbliche, tuttavia, l’approccio al governo delle trasformazioni territoriali resta spesso subordinato a fattori e domande esogene di crescita quantitativa, indifferenti alle specificità dei contesti e dei luoghi e alle loro interazioni. Le comunità rurali ed il mondo accademico provano a definire modelli alternativi di pianificazione, basati sulla valorizzazione delle produzioni tradizionali e delle pratiche sociali ad esse connesse, intese come beni comuni. Il contributo riflette su modelli di sviluppo locale "bottom-up” alternativi, analizzando il loro potenziale contributo nelle politiche locali e nel governo del territorio, in riferimento al caso studio sardo.
Modelli di sviluppo locale per le aree interne: l’esperienza sarda
Colavitti A. M.;Serra S.;Usai A.
2019-01-01
Abstract
Le relazioni ambientali che legano le comunità ai propri ambienti di vita e, soprattutto, l'identificazione e quantificazione dei benefici economici, sociali e culturali che le comunità traggono da essi in termini di servizi ecosistemici, sono divenute centrali nella pianificazione territoriale. La polarizzazione delle dinamiche di sviluppo attorno alle grandi città, tuttavia, continua a minare l’efficacia dei piani inibendo l’attivazione del capitale territoriale nelle aree rurali, definite al negativo “aree interne”. I sistemi agro-forestali non sono più utilizzati, il capitale edilizio cade in disuso, le conoscenze e le pratiche di manutenzione del territorio non si tramandano e si perdono generando i “paesaggi dell’abbandono”. I costi sociali degli attuali processi di produzione e di consumo divengono palesi e manifesti: dal dissesto idrogeologico, alla perdita di diversità biologica sino alla carenza dei servizi di base per le comunità insediate. Nelle politiche pubbliche, tuttavia, l’approccio al governo delle trasformazioni territoriali resta spesso subordinato a fattori e domande esogene di crescita quantitativa, indifferenti alle specificità dei contesti e dei luoghi e alle loro interazioni. Le comunità rurali ed il mondo accademico provano a definire modelli alternativi di pianificazione, basati sulla valorizzazione delle produzioni tradizionali e delle pratiche sociali ad esse connesse, intese come beni comuni. Il contributo riflette su modelli di sviluppo locale "bottom-up” alternativi, analizzando il loro potenziale contributo nelle politiche locali e nel governo del territorio, in riferimento al caso studio sardo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.