La didattica del primo anno ha il compito di introdurre le complesse articolazioni che in architettura reggono i rapporti tra forma, costruzione, luogo, storia. Il tema che consente questo primo “avvicinamento” è, come spesso accade, il progetto della casa: il suo dimensionamento, la messa in forma, la disposizione, la caratterizzazione degli spazi funzionali e delle relazioni che la casa intrattiene con il luogo – città o territorio. Questo tema è implicito in tutta la storia dell’architettura - è sufficiente ricordare il magistrale lavoro sull’idea della prima casa e la ricerca delle origini e del significato dell’architettura scritto dallo storico Joseph Rykwert per riscontrarne la persistenza, nelle sue differenti espressioni culturali, storiche e di scala. Ma, come afferma anche Luigi Snozzi, la casa unifamiliare, la villa, è un tema difficile per l’architetto perché il programma è difficilmente riassumibile in una formula univoca e manca, al contrario della casa collettiva, la ripetizione, che serve a generare ritmo, sequenza tipologica e confronto con l’organico e l’informale urbano metropolitano. La casa collettiva, invece, agisce su differenti scale del progetto, dallo spazio della persona alla città, con la quale introduce una dialettica attiva e ne riafferma il ruolo di strumento formativo per il progetto, in contrasto con l’idea, abbastanza diffusa, di una didattica che gerarchizza dal semplice al complesso, indicando il grado di difficoltà sulla base di un principio scalare o funzionale. Lavorare alle diverse scale del progetto non comporta, quindi, un differente approccio metodologico o uno spostamento disciplinare. È necessaria una risposta multipla ai problemi, ma è l’architettura che deve dare soluzione progettuale alla complessità del paesaggio contemporaneo, anche di fronte ad uno spazio articolato come la metropoli o la regione territoriale. La tendenza verso una definitiva separazione tra architettura e urbanistica viene così ridotta, ricordandoci quell’unità invocata da Giuseppe Samonà.

Imparare Architettura. I laboratori di progettazione e le pratiche di insegnamento. Atti del 7º Forum di ProArch

peghin
2019-01-01

Abstract

La didattica del primo anno ha il compito di introdurre le complesse articolazioni che in architettura reggono i rapporti tra forma, costruzione, luogo, storia. Il tema che consente questo primo “avvicinamento” è, come spesso accade, il progetto della casa: il suo dimensionamento, la messa in forma, la disposizione, la caratterizzazione degli spazi funzionali e delle relazioni che la casa intrattiene con il luogo – città o territorio. Questo tema è implicito in tutta la storia dell’architettura - è sufficiente ricordare il magistrale lavoro sull’idea della prima casa e la ricerca delle origini e del significato dell’architettura scritto dallo storico Joseph Rykwert per riscontrarne la persistenza, nelle sue differenti espressioni culturali, storiche e di scala. Ma, come afferma anche Luigi Snozzi, la casa unifamiliare, la villa, è un tema difficile per l’architetto perché il programma è difficilmente riassumibile in una formula univoca e manca, al contrario della casa collettiva, la ripetizione, che serve a generare ritmo, sequenza tipologica e confronto con l’organico e l’informale urbano metropolitano. La casa collettiva, invece, agisce su differenti scale del progetto, dallo spazio della persona alla città, con la quale introduce una dialettica attiva e ne riafferma il ruolo di strumento formativo per il progetto, in contrasto con l’idea, abbastanza diffusa, di una didattica che gerarchizza dal semplice al complesso, indicando il grado di difficoltà sulla base di un principio scalare o funzionale. Lavorare alle diverse scale del progetto non comporta, quindi, un differente approccio metodologico o uno spostamento disciplinare. È necessaria una risposta multipla ai problemi, ma è l’architettura che deve dare soluzione progettuale alla complessità del paesaggio contemporaneo, anche di fronte ad uno spazio articolato come la metropoli o la regione territoriale. La tendenza verso una definitiva separazione tra architettura e urbanistica viene così ridotta, ricordandoci quell’unità invocata da Giuseppe Samonà.
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