Nel 1848, in pieno fermento risorgimentale, il Granducato di Toscana e la Santa Sede avviarono trattative volte a superare la legislazione giurisdizionalista vigente fino a quel momento nel Granducato, che limitava fortemente la libertà d'azione della Chiesa. Le trattative iniziarono in vista di un riavvicinamento, in chiave anti-austriaca, fra il Granducato e la Santa Sede. Paradossalmente nel 1851 portarono ad un concordato fortemente voluto dall'Impero Austro-ungarico, che dopo i fatti del 1848 riteneva utile favorire accordi più stretti tra trono e altare. Ci si può chiedere quale interesse possa suscitare un accordo di tal genere, concepito già da coloro che lo sottoscrissero come provvisorio, che ebbe un’applicazione piuttosto limitata e che, nell’arco di un decennio, perse qualsiasi valore, in seguito alla fine del Granducato di Toscana. Credo che l’interesse sia da attribuirsi, più che all’atto in sé, alle fasi delle trattative che ad esso condussero. Ripercorrendo le fasi che, dal 1848 al 1851, portarono a tale atto, entriamo in contatto con due differenti concezioni del rapporto che avrebbe dovuto idealmente esistere tra la Chiesa Cattolica ed uno Stato confessionale. La concezione giurisdizionalista, piuttosto radicata fra i giuristi toscani, e la concezione della Curia Romana, che avrebbe voluto vedere il potere civile lasciar libera la Chiesa nella sua attività pastorale, mostrandosi inoltre collaborativo con essa. I sostenitori di queste due idee si confrontano, e fanno fatica a comprendersi. Ma una serie di circostanze li spinge a trovare un accordo, per quanto incompleto e parziale, aggirando i vari temi su cui non riescono a trovare un punto di contatto. Il confronto fra queste due concezioni, a mio avviso, finisce con l’essere molto più interessante del risultato finale.

Potestà laica e religiosa autorità. Il concordato del 1851 fra Granducato di Toscana e Santa Sede

PIGNOTTI, MARCO
2008-01-01

Abstract

Nel 1848, in pieno fermento risorgimentale, il Granducato di Toscana e la Santa Sede avviarono trattative volte a superare la legislazione giurisdizionalista vigente fino a quel momento nel Granducato, che limitava fortemente la libertà d'azione della Chiesa. Le trattative iniziarono in vista di un riavvicinamento, in chiave anti-austriaca, fra il Granducato e la Santa Sede. Paradossalmente nel 1851 portarono ad un concordato fortemente voluto dall'Impero Austro-ungarico, che dopo i fatti del 1848 riteneva utile favorire accordi più stretti tra trono e altare. Ci si può chiedere quale interesse possa suscitare un accordo di tal genere, concepito già da coloro che lo sottoscrissero come provvisorio, che ebbe un’applicazione piuttosto limitata e che, nell’arco di un decennio, perse qualsiasi valore, in seguito alla fine del Granducato di Toscana. Credo che l’interesse sia da attribuirsi, più che all’atto in sé, alle fasi delle trattative che ad esso condussero. Ripercorrendo le fasi che, dal 1848 al 1851, portarono a tale atto, entriamo in contatto con due differenti concezioni del rapporto che avrebbe dovuto idealmente esistere tra la Chiesa Cattolica ed uno Stato confessionale. La concezione giurisdizionalista, piuttosto radicata fra i giuristi toscani, e la concezione della Curia Romana, che avrebbe voluto vedere il potere civile lasciar libera la Chiesa nella sua attività pastorale, mostrandosi inoltre collaborativo con essa. I sostenitori di queste due idee si confrontano, e fanno fatica a comprendersi. Ma una serie di circostanze li spinge a trovare un accordo, per quanto incompleto e parziale, aggirando i vari temi su cui non riescono a trovare un punto di contatto. Il confronto fra queste due concezioni, a mio avviso, finisce con l’essere molto più interessante del risultato finale.
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