Scriveva Ignazio Gardella che l’architettura, in quanto arte, non può che essere, o tendere ad essere, assoluta ed esatta, mentre la scienza e la tecnica, che pur le fanno da supporto, non possono che essere, per loro stessa natura, relative ed inesatte. Questo paradosso ci obbliga a riflettere sul personale percorso progettuale che porta l’architetto ad acquisire quel sapere oggettivo attraverso il dominio delle regole del suo mestiere e sulla necessità in architettura tanto degli elementi oggettivi quanto delle facoltà soggettive per poter avviare significativi processi di conoscenza. Se, come scriveva Antoine Grumbach riferendosi all’architettura, <le monde de travail le plus intéressante implique toujours un travail de recherche avec des hypothèses et leur vérification> ‐ considerata la teoria come dimensione specifica di ogni ricerca ‐ ci si può domandare quale sia la natura del rapporto tra ricerca fondamentale e ricerca applicata negli studi dottorali in architettura. Ogni ricerca ha il compito di esplorare e verificare un’ipotesi a partire da una problematica: si apprende la ricerca costruendo la problematica, le ipotesi e il metodo a partire da un <corpus> ‐ nella stessa misura in cui si apprende il progetto di architettura facendolo. La triade problematica-ipotesi‐verifica non costituisce tuttavia un processo logico ed unidirezionale nella misura in cui l’osservazione non è sempre assunta come primo momento della costruzione del messaggio: lo studio procede attraverso il filtro di una o più ipotesi e attraverso gli strumenti di conoscenza. La verifica dell’ipotesi non è la risposta all’applicazione passiva di una metodologia, quanto piuttosto il risultato dipendente dal soggetto che opera nella costruzione del messaggio ponendosi in termini di flessibilità e adattabilità, lasciandosi modificare, come scrive André Corboz, <dall’oggetto stesso del suo cercare>, per il quale costruisce le relazioni tra le parti che lo compongono dando loro significato. In questa complessa operazione il soggetto deve rimanere fedele alla sua deriva operando un’interazione personale tra le discipline con cui di volta in volta si trova a interagire, consapevole dell’impossibilità di costruire un quadro teorico perfetto, ma capace di includere le contraddizioni e i punti non risolti, adattandosi al caso per caso. Carlos Martì Arìs, descrivendo la relazione che esiste tra la centina e l’arco nel processo costruttivo, rimanda al rapporto tra teoria e pratica mostrando come la ricerca in architettura non possa escludere la pratica, ovvero la teoria della pratica, come passaggio obbligato ed imprescindibile alla costruzione di un progetto pertinente. Negli studi dottorali in architettura ci si trova dunque nella necessità di acquisire simultaneamente il controllo del progetto e la distanza necessaria per fare del progetto un oggetto di ricerca focalizzando l’attenzione sulle invarianti e sulle specificità che costruiscono l’articolazione delle differenti logiche progettuali.

Il progetto della ricerca, negli studi dottorali in architettura

COCCO, GIOVANNI BATTISTA
2011-01-01

Abstract

Scriveva Ignazio Gardella che l’architettura, in quanto arte, non può che essere, o tendere ad essere, assoluta ed esatta, mentre la scienza e la tecnica, che pur le fanno da supporto, non possono che essere, per loro stessa natura, relative ed inesatte. Questo paradosso ci obbliga a riflettere sul personale percorso progettuale che porta l’architetto ad acquisire quel sapere oggettivo attraverso il dominio delle regole del suo mestiere e sulla necessità in architettura tanto degli elementi oggettivi quanto delle facoltà soggettive per poter avviare significativi processi di conoscenza. Se, come scriveva Antoine Grumbach riferendosi all’architettura, ‐ considerata la teoria come dimensione specifica di ogni ricerca ‐ ci si può domandare quale sia la natura del rapporto tra ricerca fondamentale e ricerca applicata negli studi dottorali in architettura. Ogni ricerca ha il compito di esplorare e verificare un’ipotesi a partire da una problematica: si apprende la ricerca costruendo la problematica, le ipotesi e il metodo a partire da un ‐ nella stessa misura in cui si apprende il progetto di architettura facendolo. La triade problematica-ipotesi‐verifica non costituisce tuttavia un processo logico ed unidirezionale nella misura in cui l’osservazione non è sempre assunta come primo momento della costruzione del messaggio: lo studio procede attraverso il filtro di una o più ipotesi e attraverso gli strumenti di conoscenza. La verifica dell’ipotesi non è la risposta all’applicazione passiva di una metodologia, quanto piuttosto il risultato dipendente dal soggetto che opera nella costruzione del messaggio ponendosi in termini di flessibilità e adattabilità, lasciandosi modificare, come scrive André Corboz, , per il quale costruisce le relazioni tra le parti che lo compongono dando loro significato. In questa complessa operazione il soggetto deve rimanere fedele alla sua deriva operando un’interazione personale tra le discipline con cui di volta in volta si trova a interagire, consapevole dell’impossibilità di costruire un quadro teorico perfetto, ma capace di includere le contraddizioni e i punti non risolti, adattandosi al caso per caso. Carlos Martì Arìs, descrivendo la relazione che esiste tra la centina e l’arco nel processo costruttivo, rimanda al rapporto tra teoria e pratica mostrando come la ricerca in architettura non possa escludere la pratica, ovvero la teoria della pratica, come passaggio obbligato ed imprescindibile alla costruzione di un progetto pertinente. Negli studi dottorali in architettura ci si trova dunque nella necessità di acquisire simultaneamente il controllo del progetto e la distanza necessaria per fare del progetto un oggetto di ricerca focalizzando l’attenzione sulle invarianti e sulle specificità che costruiscono l’articolazione delle differenti logiche progettuali.
2011
978-88-95612-79-9
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