Il contributo esamina i problemi posti dal ricorso alle fonti romane nella motivazione di Cass., 11 luglio 2016, n. 14188. Pur potendosi sicuramente condividere la prevalente esegesi dell'art. 1173 c.c. e, di conseguenza, riconoscere nel diritto privato italiano fonti 'atipiche' - le 'nostre' variae causarum figurae - di obbligazioni, emerge l'inconfigurabilità, ad esaminare il problema nell'ottica dei presupposti della responsabilità civile, di una ‘terra di nessuno tra contratto e fatto illecito’. In questo quadro, infatti, la materia - intrinsecamente unitaria - è interamente coperta dal binomio costituito dagli artt. 2043 e 1218 c.c., né, pertanto, appare possibile applicare quest'ultima disposizione con il ricorso all'analogia - sia legis, sia iuris - in assenza di una lacuna ordinamentale. In particolare, non può condividersi un percorso euristico che ravvisi nel modello del 'quasi contratto' giustinianeo - sistematicamente produttivo, per diritto romano, di obbligazioni implicanti un dovere di prestazione principale - la fonte dell'obbligazione senza prestazione, da ritenersi istituto di matrice dogmatica (ed ora anche normativa) propria dell'ordinamento tedesco, non rapportabile al tessuto normativo del diritto civile italiano. I contesti attualmente ricondotti, da una parte della dottrina e della giurisprudenza, all'obbligazione senza prestazione - ed in particolare la responsabilità conseguente ad informazioni inesatte - mostrano semmai una significativa convergenza con il modello romano della tutela extracontrattuale de dolo malo. Più ampiamente, e con riferimento al tema del risarcimento della pura perdita patrimoniale, appare convincente, in questo quadro storico e dogmatico, l'opzione ermeneutica di altra parte della dottrina che tende, per varie vie, ad impostare il problema esaminato nella prospettiva della responsabilità extracontrattuale (in chiave romanistica, 'delittuale' o 'quasi delittuale').

Obbligazione senza prestazione e diritto romano: un problema aperto

FERCIA, RICCARDO
2017-01-01

Abstract

Il contributo esamina i problemi posti dal ricorso alle fonti romane nella motivazione di Cass., 11 luglio 2016, n. 14188. Pur potendosi sicuramente condividere la prevalente esegesi dell'art. 1173 c.c. e, di conseguenza, riconoscere nel diritto privato italiano fonti 'atipiche' - le 'nostre' variae causarum figurae - di obbligazioni, emerge l'inconfigurabilità, ad esaminare il problema nell'ottica dei presupposti della responsabilità civile, di una ‘terra di nessuno tra contratto e fatto illecito’. In questo quadro, infatti, la materia - intrinsecamente unitaria - è interamente coperta dal binomio costituito dagli artt. 2043 e 1218 c.c., né, pertanto, appare possibile applicare quest'ultima disposizione con il ricorso all'analogia - sia legis, sia iuris - in assenza di una lacuna ordinamentale. In particolare, non può condividersi un percorso euristico che ravvisi nel modello del 'quasi contratto' giustinianeo - sistematicamente produttivo, per diritto romano, di obbligazioni implicanti un dovere di prestazione principale - la fonte dell'obbligazione senza prestazione, da ritenersi istituto di matrice dogmatica (ed ora anche normativa) propria dell'ordinamento tedesco, non rapportabile al tessuto normativo del diritto civile italiano. I contesti attualmente ricondotti, da una parte della dottrina e della giurisprudenza, all'obbligazione senza prestazione - ed in particolare la responsabilità conseguente ad informazioni inesatte - mostrano semmai una significativa convergenza con il modello romano della tutela extracontrattuale de dolo malo. Più ampiamente, e con riferimento al tema del risarcimento della pura perdita patrimoniale, appare convincente, in questo quadro storico e dogmatico, l'opzione ermeneutica di altra parte della dottrina che tende, per varie vie, ad impostare il problema esaminato nella prospettiva della responsabilità extracontrattuale (in chiave romanistica, 'delittuale' o 'quasi delittuale').
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