Che cosa hanno in comune l’elezione di Donald Trump e i consensi ottenuti da Bernie Sanders negli USA, l’impeachment di Dilma Rousseff e l’assunzione, da parte di Michel Temer, della presidenza del Brasile, l’ascesa di Marine Le Pen in Francia, quella del Movimento Cinque Stelle e della Lega di Matteo Salvini in Italia, quella di Podemos in Spagna, la Brexit e le varie “primavere” (arabe, europee, americane) succedutesi negli anni 10 di questo nuovo secolo ? Una cosa di certo : si tratta di fenomeni solitamente intesi ed etichettati da giornalisti, intellettuali e politici come nuovi casi di “populismo”, termine ombrello che, al di là di un generico riferimento all’idea di “popolo”, spiega poco cosa di fatto si cela dietro ognuno di essi e che cosa li lega uno all’altro. Non è certo nostra intenzione fornire una definizione chiara e coesa di populismo. Meglio : non ci interessa fornire definizione alcuna — dire che cosa è e cosa non è populismo, chi e chi non è populista. Molto più umilmente, ciò che proponiamo è un’indagine preliminare ed esploratoria su alcuni tratti e alcune dinamiche di fondo che distinguono, a nostro avviso, sotto il profilo semiotico, il “nuovo populismo” di cui oggi tanto si parla. Quel che ci siamo chiesti, non è insomma “che cosa è il populismo ?”, ma — prendendo sul serio il senso comune e socialmente condiviso del termine e muovendo da esso la nostra riflessione — “da che cosa si riconosce o si può riconoscere il populismo ?”. Detto altrimenti, la questione di fondo che guida il nostro ragionamento non è relativa al “cosa”, ma al “come” : come si dà il populismo ? Come emerge e come si struttura semioticamente ? Cinque sono i tratti distintivi che abbiamo individuato e su cui concentreremo la nostra analisi : vaghezza, implosione, corpi, estesia, negatività.
Da cosa si riconosce il populismo. Ipotesi semiopolitiche
Sedda, Francesco;
2018-01-01
Abstract
Che cosa hanno in comune l’elezione di Donald Trump e i consensi ottenuti da Bernie Sanders negli USA, l’impeachment di Dilma Rousseff e l’assunzione, da parte di Michel Temer, della presidenza del Brasile, l’ascesa di Marine Le Pen in Francia, quella del Movimento Cinque Stelle e della Lega di Matteo Salvini in Italia, quella di Podemos in Spagna, la Brexit e le varie “primavere” (arabe, europee, americane) succedutesi negli anni 10 di questo nuovo secolo ? Una cosa di certo : si tratta di fenomeni solitamente intesi ed etichettati da giornalisti, intellettuali e politici come nuovi casi di “populismo”, termine ombrello che, al di là di un generico riferimento all’idea di “popolo”, spiega poco cosa di fatto si cela dietro ognuno di essi e che cosa li lega uno all’altro. Non è certo nostra intenzione fornire una definizione chiara e coesa di populismo. Meglio : non ci interessa fornire definizione alcuna — dire che cosa è e cosa non è populismo, chi e chi non è populista. Molto più umilmente, ciò che proponiamo è un’indagine preliminare ed esploratoria su alcuni tratti e alcune dinamiche di fondo che distinguono, a nostro avviso, sotto il profilo semiotico, il “nuovo populismo” di cui oggi tanto si parla. Quel che ci siamo chiesti, non è insomma “che cosa è il populismo ?”, ma — prendendo sul serio il senso comune e socialmente condiviso del termine e muovendo da esso la nostra riflessione — “da che cosa si riconosce o si può riconoscere il populismo ?”. Detto altrimenti, la questione di fondo che guida il nostro ragionamento non è relativa al “cosa”, ma al “come” : come si dà il populismo ? Come emerge e come si struttura semioticamente ? Cinque sono i tratti distintivi che abbiamo individuato e su cui concentreremo la nostra analisi : vaghezza, implosione, corpi, estesia, negatività.File | Dimensione | Formato | |
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