L’esigenza che ciascun giurista dovrebbe oggi avvertire dovrebbe essere di aggredire la frattura sempre più grave tra la teoria e la pratica (già invano denunciata sin dagli anni sessanta dello scorso secolo da Pietro Perlingieri), tra il diritto dei libri e quello delle sentenze. A tale riguardo, per fortuna sembrerebbe che in questi ultimi anni la dottrina abbia, seppure troppo timidamente, riscoperto il proprio ruolo di indirizzo, iniziando a erodere gli ampi spazi che a partire dagli anni Ottanta del novecento sono stati appannaggio della giurisprudenza per svariati motivi. Correttamente abbandonato l’approccio sterilmente dogmatico agli studi giuridici, l’interprete deve tenere in debito conto le questioni che assillano il cittadino a prescindere dal fatto che siano oppure no regolamentate dalla legge. Conosciamo bene e valutiamo giorno dopo giorno la progressiva e quasi ineluttabile perdita di centralità del codice civile; è impensabile affrontare una problematica se non alla luce della giurisprudenza. Però, questo dev’essere il punto, non già limitandosi a rincorrere il precedente giurisprudenziale, ma comprendendo che l’interprete deve compiere un’attività di bilanciamento fra i valori (in specie quelli costituzionali) e il dato positivo, applicando la regola secondo ragionevolezza e con proporzionalità. Si tratta di prendere coscienza del passaggio dallo ius positum allo ius in fieri.

Dal mito della legge al mito del giudizio

Cicero C
2022-01-01

Abstract

L’esigenza che ciascun giurista dovrebbe oggi avvertire dovrebbe essere di aggredire la frattura sempre più grave tra la teoria e la pratica (già invano denunciata sin dagli anni sessanta dello scorso secolo da Pietro Perlingieri), tra il diritto dei libri e quello delle sentenze. A tale riguardo, per fortuna sembrerebbe che in questi ultimi anni la dottrina abbia, seppure troppo timidamente, riscoperto il proprio ruolo di indirizzo, iniziando a erodere gli ampi spazi che a partire dagli anni Ottanta del novecento sono stati appannaggio della giurisprudenza per svariati motivi. Correttamente abbandonato l’approccio sterilmente dogmatico agli studi giuridici, l’interprete deve tenere in debito conto le questioni che assillano il cittadino a prescindere dal fatto che siano oppure no regolamentate dalla legge. Conosciamo bene e valutiamo giorno dopo giorno la progressiva e quasi ineluttabile perdita di centralità del codice civile; è impensabile affrontare una problematica se non alla luce della giurisprudenza. Però, questo dev’essere il punto, non già limitandosi a rincorrere il precedente giurisprudenziale, ma comprendendo che l’interprete deve compiere un’attività di bilanciamento fra i valori (in specie quelli costituzionali) e il dato positivo, applicando la regola secondo ragionevolezza e con proporzionalità. Si tratta di prendere coscienza del passaggio dallo ius positum allo ius in fieri.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11584/323733
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