Il contributo muove dal confronto del romanzo novecentesco Berlin Alexanderplatz (A. Döblin, 1929) con la sua traduzione in Italiano (A. Spaini, 1930). Questo romanzo rappresenta uno dei maggiori capolavori della letteratura tedesca del novecento ed è un singolare esempio di narrativa sperimentale, di evoluzione e di ironico passaggio dall’espressionismo al neorealismo. Tra le varie tecniche di sperimentazione di cui il romanzo si fa carico (montaggio, collage, monologo interiore etc.) figurano soprattutto le innovazioni linguistiche e l’introduzione della lingua viva e parlata di una città: il berlinese (das Berlinische). Le caratteristiche strutturali tipiche di questo dialetto, unite ad un insieme di colorite espressioni di tipo colloquiale, che ben rispecchiano i socioletti della classe operaia della Berlino degli anni ’20, sono ben esemplificate tra le pagine del romanzo. Questo aspetto crea non pochi problemi ai traduttori, costretti a misurarsi con un dialetto- idioletto che, più che berlinese, può essere legittimamente definito döblinese. Come si comporta la traduzione? Cosa ci insegna la traduttologia? Nel tentativo di rispondere a queste domande, su cui si levano pareri discordi all’interno degli studi traduttologici, saranno esemplificate, in una prima parte di stampo teorico, le caratteristiche strutturali del berlinese da un punto di vista diacronico. Verranno poi descritte alcune delle più comuni tecniche e strategie discusse nella traduttologia e adottate in gran parte delle traduzione di varietà non- standard. Nella seconda parte del contributo saranno invece scelti alcuni estratti dal testo di Döblin e messi a confronto con la traduzione di Spaini: Quali tecniche e quali strategie adotta il traduttore? Le varietà non-standard e le sfumature della lingua dialettale e della cultura popolare sono preservate? Soppiantate? Standardizzate? Perse?

La traduzione di varietà linguistiche non standard. Il caso del berlinese in Berlin Alexanderplatz

Cosentino Gianluca
2019-01-01

Abstract

Il contributo muove dal confronto del romanzo novecentesco Berlin Alexanderplatz (A. Döblin, 1929) con la sua traduzione in Italiano (A. Spaini, 1930). Questo romanzo rappresenta uno dei maggiori capolavori della letteratura tedesca del novecento ed è un singolare esempio di narrativa sperimentale, di evoluzione e di ironico passaggio dall’espressionismo al neorealismo. Tra le varie tecniche di sperimentazione di cui il romanzo si fa carico (montaggio, collage, monologo interiore etc.) figurano soprattutto le innovazioni linguistiche e l’introduzione della lingua viva e parlata di una città: il berlinese (das Berlinische). Le caratteristiche strutturali tipiche di questo dialetto, unite ad un insieme di colorite espressioni di tipo colloquiale, che ben rispecchiano i socioletti della classe operaia della Berlino degli anni ’20, sono ben esemplificate tra le pagine del romanzo. Questo aspetto crea non pochi problemi ai traduttori, costretti a misurarsi con un dialetto- idioletto che, più che berlinese, può essere legittimamente definito döblinese. Come si comporta la traduzione? Cosa ci insegna la traduttologia? Nel tentativo di rispondere a queste domande, su cui si levano pareri discordi all’interno degli studi traduttologici, saranno esemplificate, in una prima parte di stampo teorico, le caratteristiche strutturali del berlinese da un punto di vista diacronico. Verranno poi descritte alcune delle più comuni tecniche e strategie discusse nella traduttologia e adottate in gran parte delle traduzione di varietà non- standard. Nella seconda parte del contributo saranno invece scelti alcuni estratti dal testo di Döblin e messi a confronto con la traduzione di Spaini: Quali tecniche e quali strategie adotta il traduttore? Le varietà non-standard e le sfumature della lingua dialettale e della cultura popolare sono preservate? Soppiantate? Standardizzate? Perse?
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