L'articolo vuol proporre una riflessione sul cosiddetto Marx democratico, ovverosia sulla speculazione marxiana che s'arresta "prima dell'utopia". Se è corretto asserire che al di là dello scritto critico giovanile, Zur Kritik der Hegelschen Rechts-Philosophie, Marx non affrontò mai direttamente il problema dello Stato, è altresì vero come, in relazione a tutto il suo lascito teorico non vi è «opera in cui non si possano estrarre su questo stesso problema brani rilevanti e illuminanti» (Bobbio). Il che non solo ci impone di dover necessariamente considerare l’anticamera politica quale elemento non così privo di significato, ma di rinvenire altresì in tale fase tutti gli elementi di quella «true democracy» tratteggiati per la prima volta nella Kritik del 1843 e sorprendentemente riproposti quasi trent’anni dopo nello scritto sulla guerra civile in Francia (1871), dove la storia di idee e quella di fatti si identificarono. Invero, quest’ultima non ebbe a riguardare solo i comunardi parigini. Ancora Bobbio, riferendosi allo sforzo intellettuale di Lenin per una democrazia «più democratica», fondata sullo stretto vincolo tra rappresentanti e rappresentati (mandato imperativo) e sulla cosiddetta «rappresentanza organica» (funzionale all’interesse di classe), evidenziava come tali principî fossero direttamente trapassati nell’art. 105 della Costituzione sovietica. È esattamente questo filo conduttore «democratico» a palesarsi un passo prima dell’utopia. Si tratta di un terreno complesso, cedevole, che per certi versi può essere considerato già utopico, essendo dell’utopia la premessa, e che tuttavia ci permette di cogliere una continuità di pensiero scevra, in questo caso, di «coupure épistémologique» (Althusser). Il pensiero di Marx sulla democrazia, infatti, rimase sempre lo stesso. Ciò che espresse in teoria giovanissimo lo ritrovò nella pratica quasi trent’anni più tardi. Per usare le parole di Alexandros Chrysis: «la teoria pre-comunista marxiana della democrazia [...] non sparisce nell’opera matura», anzi si inserisce dialetticamente nella teoria della lotta di classe e nella complessa tensione tra borghesi e proletari (Chrysis). In accordo con quest’approccio l'articolo prova a delineare il significato originario, le influenze teoriche e il riscontro storico della democrazia marxiana, intendendo quest’ultima come lo stadio ancora politico di una società pre-comunista; ovvero, prendendo nuovamente in prestito la terminologia del Chrysis: lo stadio in cui la politica non solo non si dissolve, ma smette di essere creazione di pochi (poíesis) per realizzare più compiutamente se stessa come pràxis, restituendo a ciascun individuo il suo ruolo attivo e la socialità perduta.
La democrazia di Karl Marx. La Kritik e la Comune di Parigi: per una «forma politica espansiva»
Andrea Serra
2021-01-01
Abstract
L'articolo vuol proporre una riflessione sul cosiddetto Marx democratico, ovverosia sulla speculazione marxiana che s'arresta "prima dell'utopia". Se è corretto asserire che al di là dello scritto critico giovanile, Zur Kritik der Hegelschen Rechts-Philosophie, Marx non affrontò mai direttamente il problema dello Stato, è altresì vero come, in relazione a tutto il suo lascito teorico non vi è «opera in cui non si possano estrarre su questo stesso problema brani rilevanti e illuminanti» (Bobbio). Il che non solo ci impone di dover necessariamente considerare l’anticamera politica quale elemento non così privo di significato, ma di rinvenire altresì in tale fase tutti gli elementi di quella «true democracy» tratteggiati per la prima volta nella Kritik del 1843 e sorprendentemente riproposti quasi trent’anni dopo nello scritto sulla guerra civile in Francia (1871), dove la storia di idee e quella di fatti si identificarono. Invero, quest’ultima non ebbe a riguardare solo i comunardi parigini. Ancora Bobbio, riferendosi allo sforzo intellettuale di Lenin per una democrazia «più democratica», fondata sullo stretto vincolo tra rappresentanti e rappresentati (mandato imperativo) e sulla cosiddetta «rappresentanza organica» (funzionale all’interesse di classe), evidenziava come tali principî fossero direttamente trapassati nell’art. 105 della Costituzione sovietica. È esattamente questo filo conduttore «democratico» a palesarsi un passo prima dell’utopia. Si tratta di un terreno complesso, cedevole, che per certi versi può essere considerato già utopico, essendo dell’utopia la premessa, e che tuttavia ci permette di cogliere una continuità di pensiero scevra, in questo caso, di «coupure épistémologique» (Althusser). Il pensiero di Marx sulla democrazia, infatti, rimase sempre lo stesso. Ciò che espresse in teoria giovanissimo lo ritrovò nella pratica quasi trent’anni più tardi. Per usare le parole di Alexandros Chrysis: «la teoria pre-comunista marxiana della democrazia [...] non sparisce nell’opera matura», anzi si inserisce dialetticamente nella teoria della lotta di classe e nella complessa tensione tra borghesi e proletari (Chrysis). In accordo con quest’approccio l'articolo prova a delineare il significato originario, le influenze teoriche e il riscontro storico della democrazia marxiana, intendendo quest’ultima come lo stadio ancora politico di una società pre-comunista; ovvero, prendendo nuovamente in prestito la terminologia del Chrysis: lo stadio in cui la politica non solo non si dissolve, ma smette di essere creazione di pochi (poíesis) per realizzare più compiutamente se stessa come pràxis, restituendo a ciascun individuo il suo ruolo attivo e la socialità perduta.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.