Lo scritto esamina criticamente l’orientamento, declinato dalla più recente giurisprudenza del Supremo Collegio, secondo il quale il contratto concluso sulla base di una condotta integrante il reato di estorsione dovrebbe considerarsi nullo per contrarietà alla norma penale imperativa di cui all’art. 629 cod. pen. A confutazione di tale argomento, si osserva infatti come la nullità ex art. 1418 comma 1 c.c. ricorra allorquando oggetto del divieto contenuto nella norma imperativa violata sia il “contratto” inteso come regola convenzionale elaborata dalle parti, non la condotta diretta ad addivenire alla stipulazione dello stesso. Anche alla luce dell’inciso finale contenuto nella norma appena o richiamata (secondo cui il contratto contrario a norma imperativa deve considerarsi nullo “salvo che la legge disponga diversamente), la violenza o la minaccia perpetrata in danno di una delle parti - per indurla alla prestazione del consenso in ordine a un negozio altrimenti non voluto (e funzionale a procurare un vantaggio per il minacciante, con correlativo danno per il minacciato) - sembra viceversa coincidere con la fattispecie della violenza morale, con conseguente annullabilità della stipulazione ai sensi degli art. 1434 ss. cod. civ.. Tutto ciò premesso, il negozio perfezionato sulla base della condotta estorsiva può essere considerato nullo solamente qualora la suddetta condotta integri una “violenza assoluta” tale da escludere la configurabilità di un accordo (azzerando di fatto la libertà di scelta in capo al ricattato in ordine alla prestazione del consenso), ovvero qualora sia diretta alla conclusione di un contratto avente oggetto o causa illeciti: ipotesi di nullità pertanto riconducibili alla previsione contenuta (non nel primo, ma) nel secondo comma dello stesso art. 1418 c.c.
Il "contratto estorto" al vaglio della più recente giurisprudenza: spunti di riflessione sulla tutela del minacciato
Carlo Dore
2024-01-01
Abstract
Lo scritto esamina criticamente l’orientamento, declinato dalla più recente giurisprudenza del Supremo Collegio, secondo il quale il contratto concluso sulla base di una condotta integrante il reato di estorsione dovrebbe considerarsi nullo per contrarietà alla norma penale imperativa di cui all’art. 629 cod. pen. A confutazione di tale argomento, si osserva infatti come la nullità ex art. 1418 comma 1 c.c. ricorra allorquando oggetto del divieto contenuto nella norma imperativa violata sia il “contratto” inteso come regola convenzionale elaborata dalle parti, non la condotta diretta ad addivenire alla stipulazione dello stesso. Anche alla luce dell’inciso finale contenuto nella norma appena o richiamata (secondo cui il contratto contrario a norma imperativa deve considerarsi nullo “salvo che la legge disponga diversamente), la violenza o la minaccia perpetrata in danno di una delle parti - per indurla alla prestazione del consenso in ordine a un negozio altrimenti non voluto (e funzionale a procurare un vantaggio per il minacciante, con correlativo danno per il minacciato) - sembra viceversa coincidere con la fattispecie della violenza morale, con conseguente annullabilità della stipulazione ai sensi degli art. 1434 ss. cod. civ.. Tutto ciò premesso, il negozio perfezionato sulla base della condotta estorsiva può essere considerato nullo solamente qualora la suddetta condotta integri una “violenza assoluta” tale da escludere la configurabilità di un accordo (azzerando di fatto la libertà di scelta in capo al ricattato in ordine alla prestazione del consenso), ovvero qualora sia diretta alla conclusione di un contratto avente oggetto o causa illeciti: ipotesi di nullità pertanto riconducibili alla previsione contenuta (non nel primo, ma) nel secondo comma dello stesso art. 1418 c.c.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.