L'articolo esamina le politiche scolastiche americane fondate sulla school choice. School choice è la locuzione che, diffusasi a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, dovrebbe indicare, a parere di molti, la soluzione per tutti i mali che affliggono il sistema scolastico statunitense. School choice è anche il criterio all’insegna del quale il presidente George W. Bush ha amministrato, nei limiti della competenza del governo federale, le politiche federali in materia di istruzione. Ma, per questi stessi motivi, la cosiddetta school choice è oggetto del più ampio dibattito giuridico-istituzionale ancora oggi in corso di svolgimento negli Stati Uniti. I suoi sostenitori ritengono che essa offra in primo luogo alle famiglie più povere l’opportunità di scegliere una scuola diversa da quella “di quartiere”, possibilità fino ad ora riservata alle famiglie benestanti. Da questa opportunità iniziale deriverebbero poi una serie di conseguenze positive, fra le quali essenzialmente una forte spinta verso l’integrazione razziale, una redistribuzione dell’ingiusto godimento delle educational opportunities, un alleggerimento delle competenze governative in materia scolastica e una sana competitività tra le scuole Le politiche scolastiche statunitensi e le vicende giudiziarie ad esse connesse prese in considerazione nell'articolo rappresentano un’interessante esemplificazione di come la commistione tra diritti civili e diritti religiosi si fonda in un continuum indistinto che trova nelle politiche attuali la (non pacifica) soluzione agli aspri conflitti sociali emersi a partire dalla metà del secolo scorso. L’originaria problematica relativa all’istruzione, inizialmente connessa ai soli profili religiosi del conflitto sociale, ha travolto prepotentemente altri aspetti di tale conflitto trascinando con sé problemi come la segregazione razziale e la ghettizzazione delle minoranze linguistiche. Rispetto al diciannovesimo secolo, quando le battaglie scolastiche si erano combattute intorno alle diverse sensibilità religiose degli immigranti, nel secolo scorso il problema religioso si è sovrapposto a quello etnico–razziale fino a fondersi inscindibilmente con esso. Il dibattito che accompagna le più recenti politiche scolastiche nordamericane assume, per questi motivi, una preminente caratterizzazione classista più che propriamente religiosa. L'articolo esamina ciò che è stato raggiunto sul piano giuridico-formale che non combacia, tuttavia, pienamente con ciò che sta realmente accadendo nelle politiche scolastiche statunitensi dei giorni nostri, tanto che l’originario problema comune lega, in una sorta di circolo vizioso, le tematiche fondamentali dei sistemi scolastici anche per ciò che riguarda gli strumenti da intraprendere e i risultati ancora da raggiungere.
Le politiche statunitensi sull’istruzione scolastica. Monito o modello?
COINU, GIOVANNI
2009-01-01
Abstract
L'articolo esamina le politiche scolastiche americane fondate sulla school choice. School choice è la locuzione che, diffusasi a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, dovrebbe indicare, a parere di molti, la soluzione per tutti i mali che affliggono il sistema scolastico statunitense. School choice è anche il criterio all’insegna del quale il presidente George W. Bush ha amministrato, nei limiti della competenza del governo federale, le politiche federali in materia di istruzione. Ma, per questi stessi motivi, la cosiddetta school choice è oggetto del più ampio dibattito giuridico-istituzionale ancora oggi in corso di svolgimento negli Stati Uniti. I suoi sostenitori ritengono che essa offra in primo luogo alle famiglie più povere l’opportunità di scegliere una scuola diversa da quella “di quartiere”, possibilità fino ad ora riservata alle famiglie benestanti. Da questa opportunità iniziale deriverebbero poi una serie di conseguenze positive, fra le quali essenzialmente una forte spinta verso l’integrazione razziale, una redistribuzione dell’ingiusto godimento delle educational opportunities, un alleggerimento delle competenze governative in materia scolastica e una sana competitività tra le scuole Le politiche scolastiche statunitensi e le vicende giudiziarie ad esse connesse prese in considerazione nell'articolo rappresentano un’interessante esemplificazione di come la commistione tra diritti civili e diritti religiosi si fonda in un continuum indistinto che trova nelle politiche attuali la (non pacifica) soluzione agli aspri conflitti sociali emersi a partire dalla metà del secolo scorso. L’originaria problematica relativa all’istruzione, inizialmente connessa ai soli profili religiosi del conflitto sociale, ha travolto prepotentemente altri aspetti di tale conflitto trascinando con sé problemi come la segregazione razziale e la ghettizzazione delle minoranze linguistiche. Rispetto al diciannovesimo secolo, quando le battaglie scolastiche si erano combattute intorno alle diverse sensibilità religiose degli immigranti, nel secolo scorso il problema religioso si è sovrapposto a quello etnico–razziale fino a fondersi inscindibilmente con esso. Il dibattito che accompagna le più recenti politiche scolastiche nordamericane assume, per questi motivi, una preminente caratterizzazione classista più che propriamente religiosa. L'articolo esamina ciò che è stato raggiunto sul piano giuridico-formale che non combacia, tuttavia, pienamente con ciò che sta realmente accadendo nelle politiche scolastiche statunitensi dei giorni nostri, tanto che l’originario problema comune lega, in una sorta di circolo vizioso, le tematiche fondamentali dei sistemi scolastici anche per ciò che riguarda gli strumenti da intraprendere e i risultati ancora da raggiungere.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.