Secondo il nuovo comma 1 bis, art. 21 quinquies, l. 241/90, “ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”. Il lavoro sottolinea, anzitutto, le problematicità e le difficoltà interpretative poste dalla novellazione. Si affronta, in primo luogo, la questione della revocabilità degli atti ad efficacia istantanea (originariamente risolta, in senso negativo, dal primo comma ed evidentemente riaperta dalla riforma), prospettando, nel proseguo, alcune possibili soluzioni. Perplessità ancora maggiori suscita il riferimento allo stato soggettivo del privato, o all’eventuale suo concorso all’adozione dell’atto inopportuno, ai fini della parametrazione dell’indennizzo da revoca legittima. La previsione, ispirata al principio civilistico di autoresponsabilità richiama, quindi, una regola propria delle obbligazioni risarcitorie al di fuori dell’alveo della responsabilità contrattuale o extracontrattuale. Dopo una comparazione tra indennizzo e risarcimento si sottopone a critica l’opzione del legislatore (inutile per l’amministrazione e pericolosa per il cittadino) analizzandone le possibili ricadute, anche alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali. Si rischia, per un verso, di eludere, nella commisurazione della prestazione indennitaria, il principio del serio ristoro, che considerato nella sua reale pregnanza, dovrebbe, invece, estendersi a tutta l’attività amministrativa legittima ma pregiudizievole per il privato. La corresponsabilizzazione nella cura dell’interesse pubblico del cittadino, che non dispone, quasi mai, dei “mezzi” giuridici necessari ad individuare la scelta amministrativa più opportuna sbilancia, inoltre, gli equilibri del rapporto amministrativo in favore dell’autorità. Si propone, quindi, un’interpretazione restrittiva della norma, volta a limitarne il campo applicativo ai casi in cui appaia certa ed oggettivamente riscontrabile, oltrechè evitabile, la negligenza del soggetto che ha subito il pregiudizio. Si pone, al contempo, in luce la distonia tra l’accennata previsione e le più recenti tendenze dell’ordinamento volte a valorizzare i principi di proporzionalità e tutela dell’affidamento nel rapporto fra privato e pubblica amministrazione. Infine si formulano alcune riflessioni sulla tendenza, sempre più invalsa, alla svalutazione delle garanzie che dovrebbero necessariamente presidiare l’esercizio della funzione, per il lento ma inesorabile moltiplicarsi delle disposizioni che attribuiscono all’amministrazione quasi un “diritto all’arroganza”

La revoca: aspetti problematici alla luce dell’art. 21 quinquies, l. 241/90, in Diritto e Processo amministrativo, 2008

PUDDU, STEFANIA
2008-01-01

Abstract

Secondo il nuovo comma 1 bis, art. 21 quinquies, l. 241/90, “ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”. Il lavoro sottolinea, anzitutto, le problematicità e le difficoltà interpretative poste dalla novellazione. Si affronta, in primo luogo, la questione della revocabilità degli atti ad efficacia istantanea (originariamente risolta, in senso negativo, dal primo comma ed evidentemente riaperta dalla riforma), prospettando, nel proseguo, alcune possibili soluzioni. Perplessità ancora maggiori suscita il riferimento allo stato soggettivo del privato, o all’eventuale suo concorso all’adozione dell’atto inopportuno, ai fini della parametrazione dell’indennizzo da revoca legittima. La previsione, ispirata al principio civilistico di autoresponsabilità richiama, quindi, una regola propria delle obbligazioni risarcitorie al di fuori dell’alveo della responsabilità contrattuale o extracontrattuale. Dopo una comparazione tra indennizzo e risarcimento si sottopone a critica l’opzione del legislatore (inutile per l’amministrazione e pericolosa per il cittadino) analizzandone le possibili ricadute, anche alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali. Si rischia, per un verso, di eludere, nella commisurazione della prestazione indennitaria, il principio del serio ristoro, che considerato nella sua reale pregnanza, dovrebbe, invece, estendersi a tutta l’attività amministrativa legittima ma pregiudizievole per il privato. La corresponsabilizzazione nella cura dell’interesse pubblico del cittadino, che non dispone, quasi mai, dei “mezzi” giuridici necessari ad individuare la scelta amministrativa più opportuna sbilancia, inoltre, gli equilibri del rapporto amministrativo in favore dell’autorità. Si propone, quindi, un’interpretazione restrittiva della norma, volta a limitarne il campo applicativo ai casi in cui appaia certa ed oggettivamente riscontrabile, oltrechè evitabile, la negligenza del soggetto che ha subito il pregiudizio. Si pone, al contempo, in luce la distonia tra l’accennata previsione e le più recenti tendenze dell’ordinamento volte a valorizzare i principi di proporzionalità e tutela dell’affidamento nel rapporto fra privato e pubblica amministrazione. Infine si formulano alcune riflessioni sulla tendenza, sempre più invalsa, alla svalutazione delle garanzie che dovrebbero necessariamente presidiare l’esercizio della funzione, per il lento ma inesorabile moltiplicarsi delle disposizioni che attribuiscono all’amministrazione quasi un “diritto all’arroganza”
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