Uno degli aspetti che caratterizza il folto filone letterario del romanzo neostorico italiano, seppur in misura e modalità differenti, è la problematizzazione del rapporto tra la storia ufficiale ‒ concepita come translatio imperii ‒ e il silenzio a cui sono state condannate le voci dei vinti. L’oblio è una delle figure del linguaggio del potere, risultato della sua azione distruttiva sulla memoria e queste opere letterarie, come hanno rimarcato Domenichelli e Ganeri, nascono dall’intento di perlustrare le crepe, gli interstizi della Storia, alla ricerca di voci isolate, rimosse, mascherate. Uno degli autori che all’interno della sua produzione letteraria tutta, e nei suoi romanzi a sfondo storico più che mai, si è concentrato maggiormente sulla dialettica tra realtà e rappresentazione, tra la verità e le sue distorsioni, è Luigi Malerba. Testi come Il fuoco greco (1990) e Le maschere (1995) sono infatti chiare allegorie politiche che, attraverso una fitta trama di allusioni e emblemi, tematizzano il modo in cui l’atto di ricostruzione storica, e in particolare delle microstorie trascurate dalla Storia ufficiale, nasca dalla stretta interrelazione con i vuoti e le manipolazioni del passato. Scopo del mio lavoro è esaminare i diversi livelli attraverso cui si esprime nelle due opere malerbiane la riflessione metastorica sull’operazione di ricostruzione della storia per mezzo della scrittura letteraria: il piano formale (la necessaria frammentarietà del racconto, l’uso del punto di vista ‒ duplice o molteplice ‒, la presenza della cornice metaletteraria e del peritesto); quello diegetico (la scelta del giallo e dell’enigma generati dalla centralità di oggetti feticcio, la creazione di storie cicliche i cui finali e inizi si intrecciano e si svolgono a spirale su se stessi); il piano retorico (l’uso dell’ellissi in momenti cardine della narrazione, le allusioni, l’ironia) e, infine, quello figurale (la rappresentazione degli spazi del potere, la funzione di certe imagines che per antonomasia problematizzano la percezione di sé e del mondo e tradizionalmente metafora della mimesi, quali i sogni, lo specchio come limen che divide il reale dall’immaginario, la maschera).

Nei labirinti della storia: Il fuoco greco e Le maschere di Luigi Malerba

Claudia Cao
2014-01-01

Abstract

Uno degli aspetti che caratterizza il folto filone letterario del romanzo neostorico italiano, seppur in misura e modalità differenti, è la problematizzazione del rapporto tra la storia ufficiale ‒ concepita come translatio imperii ‒ e il silenzio a cui sono state condannate le voci dei vinti. L’oblio è una delle figure del linguaggio del potere, risultato della sua azione distruttiva sulla memoria e queste opere letterarie, come hanno rimarcato Domenichelli e Ganeri, nascono dall’intento di perlustrare le crepe, gli interstizi della Storia, alla ricerca di voci isolate, rimosse, mascherate. Uno degli autori che all’interno della sua produzione letteraria tutta, e nei suoi romanzi a sfondo storico più che mai, si è concentrato maggiormente sulla dialettica tra realtà e rappresentazione, tra la verità e le sue distorsioni, è Luigi Malerba. Testi come Il fuoco greco (1990) e Le maschere (1995) sono infatti chiare allegorie politiche che, attraverso una fitta trama di allusioni e emblemi, tematizzano il modo in cui l’atto di ricostruzione storica, e in particolare delle microstorie trascurate dalla Storia ufficiale, nasca dalla stretta interrelazione con i vuoti e le manipolazioni del passato. Scopo del mio lavoro è esaminare i diversi livelli attraverso cui si esprime nelle due opere malerbiane la riflessione metastorica sull’operazione di ricostruzione della storia per mezzo della scrittura letteraria: il piano formale (la necessaria frammentarietà del racconto, l’uso del punto di vista ‒ duplice o molteplice ‒, la presenza della cornice metaletteraria e del peritesto); quello diegetico (la scelta del giallo e dell’enigma generati dalla centralità di oggetti feticcio, la creazione di storie cicliche i cui finali e inizi si intrecciano e si svolgono a spirale su se stessi); il piano retorico (l’uso dell’ellissi in momenti cardine della narrazione, le allusioni, l’ironia) e, infine, quello figurale (la rappresentazione degli spazi del potere, la funzione di certe imagines che per antonomasia problematizzano la percezione di sé e del mondo e tradizionalmente metafora della mimesi, quali i sogni, lo specchio come limen che divide il reale dall’immaginario, la maschera).
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